Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  novembre 26 Giovedì calendario

Cina e Germania si contendono i porti italiani

In quello che per l’economia è stato un anno ’horribilis’, non poteva andare meglio per la portualità globale. A partire dal blocco cinese per il Covid è stato un susseguirsi in tutto il mondo di stop dei bastimenti, a causa della fermata di molte attività industriali e commerciali. Eppure, nell’incertezza perdurante, non si può smettere di puntare sulla portualità, che resta decisiva. Tanto che su alcuni scali italiani hanno già messo gli occhi – e in alcuni casi anche le mani – gruppi stranieri. La pandemia ha condizionato dunque pesantemente gli equilibri del commercio marittimo, dato che il mare resta il protagonista degli scambi commerciali. Il trasporto marittimo è infatti il principale ’vettore’ del commercio: il 90% delle merci è mosso sul mare, al punto che i trasporti marittimi e la logistica valgono circa il 12% del Pil mondiale. Ora, le stime per il 2020 vedono un calo del 4,4%, mentre per il 2021 è atteso un rimbalzo del 5%. Il segmento container è tornato ai volumi 2017: il Covid-19 ha annullato gli ultimi quattro anni di crescita.
L’ Italia non deve e non vuole perdere la portualità. Con il via libera ad agosto al Decreto che ha stanziato 906 milioni da destinare a 23 opere proposte dalle Autorità di Sistema portuale. Una tranche di 794 milioni verrà utilizzata per i primi 20 interventi strutturali ritenuti prioritari e immediatamente cantierabili. In particolare, alle Autorità portuali del Settentrione sono stati destinati finanziamenti per circa 308 milioni, al Centro 244 milioni, al Sud 354 milioni. Nel primo semestre nei porti italiani, ha spiegato Daniele Rossi, presidente di Assoporti, «si è registrata una contrazione generale in tutte le tipologie di merci, come mai si era vista dal dopoguerra»: sono state movimentate 200 milioni di tonnellate di merci, con una perdita di quasi il 12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
«Passeggeri quasi azzerati, crocieristica ferma», ha aggiunto Rossi, rimarcando che «i traffici perduti non si possono recuperare» e che «dobbiamo mitigarne gli impatti negativi, soprattutto sui lavoratori. Non dovremo dimenticare mai il grande risultato che abbiamo ottenuto: tutti i nostri porti sono stati operativi sempre, garantendo la sicurezza dei lavoratori, dei marittimi e delle merci». Negli ultimi 5 anni i porti italiani hanno registrato una movimentazione attorno alle 480/490 milioni di tonnellate l’anno. Nel 2019 il valore degli scambi commerciali via mare è stato di 249,1 miliardi. Di questi 129,6 miliardi sono stati di import e 119,5 di export. Nel primo semestre 2020 l’import-export via nave ha pati- to la pandemia, facendo segnare un calo del 21%. Per capire l’impatto sull’economia si pensi che il mare assorbe il 36% dell’interscambio italiano mentre il trasporto su strada vale ancora il 50% del traffico merci. I l problema, secondo alcuni addetti ai lavori, è però un altro. Oltre che a operare meno di quello che potrebbero, gli approdi italiani sono entrati nel mirino degli stranieri, in primis i cinesi, che già proprietari al 49,9% della piattaforma savonese di Vado Gatway, ora guardano a Taranto. Dove Yilport, gruppo turco con rapporti privilegiati con la statale cinese Cosco, e Cma Cga, francese, a distanza di cinque anni dalle ultime movimentazioni dell’Evergreen (di Taiwan) sono tornati a muovere container. Il business si spostato sull’acciaio, con gli appetitosi spazi dell’ex Ilva. Senza dimenticare quelli della ex Belleli: se assegnati al Ferretti Group, saranno di fatto cinesi, visto che il gruppo è all’85% di Weichai Group. Altro hub al centro di grandi interessi è Trieste, che non fa mistero di prediligere il Nord Europa, soprattutto la Germania. Feeling ricambiato a tal punto che la gestione del terminal multifunzionale vede come primo azionista (50,1%) la Hamburger Hafen und Logistik (Hhla).
Hhla, è una società fondata nell’800. Gestisce tre terminal su quattro di Amburgo. Negli ultimi anni ha ottenuto in con- cessione la gestione dei porti di Odessa e di Tallin. Hhla è una società a controllo pubblico: il 68% del capitale è controllato dalla ’città-Stato’ di Amburgo. Da alcuni anni la società ha cambiato strategia per soddisfare i clienti, tra cui grandi società cinesi e statunitensi ed ha ampliato il raggio d’azione a lungo limitato al solo scalo di Amburgo. Secondo i media il governo tedesco – e probabilmente il ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, tra l’altro ex sindaco di Amburgo – avrebbe suggerito ai vertici della società di ampliare i suoi interessi anche per evitare che alcuni porti europei finissero sotto il controllo della Cina. La piattaforma è una delle più grandi costruite in Italia negli ultimi 10 anni la cui realizzazione è terminata ad inizio settembre. L’obiettivo di Hhla è creare un gruppo leader in Europa, un ponte di collegamento tra Nord Europa, Mediterraneo ed estremo Oriente. Peraltro nel capoluogo giuliano ci sono altri spazi da riutilizzare, come il molo legnami e le aree dell’ex ferriera di Servola ma pure quelli dei depositi costieri del terminale petrolifero. Resta invece pieno di incognite il destino del terminal container di Cagliari, scalo che, vista la zona privilegiata al centro del Mediterraneo e in un tentativo di rilancio, ha ottenuto la zona franca.
L’Europa perde in ogni caso terreno: nel 2020 è stato Shanghai il porto container col maggior numero di collegamenti diretti con altri scali portuali mondiali attraverso servizi marittimi di linea. Lo mette bene in luce l’ultimo rapporto della Conferenza dell’Onu sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad): Shanghai ha 288 collegamenti marittimi diretti con altri porti ed è seguito da Busan (274), Anversa (268) e Rotterdam (264). Il Mediterraneo rappresenta comunque tuttora una via privilegiata per i container concentrando il 27% dei circa 500 servizi di linea mondiali via nave. Il Canale di Suez, nei primi 5 mesi dell’anno non ha registrato le crescite a doppia cifra del 2019: ha avuto un aumento del 7% delle navi in transito, ma le portacontainer hanno segnato un calo del 15%. La diminuzione del traffico via Suez è dovuta a due fattori legati alla pandemia: il calo dei carichi e del prezzo del petrolio, che ha spinto molte portacontainer a passare per il Capo di Buona Speranza risparmiando i costi del pedaggio, seppur allungando il percorso di 3mila miglia nautiche.
In questo scenario l’Italia è il primo Paese nell’Ue a 28 per trasporto di merci in modalità ’Short Sea Shipping’ (trasporto via mare a corto raggio) nel Mediterraneo, con 246 milioni di tonnellate movimentate, con una quota di mercato del 39%. Per questo il nostro Paese deve migliorare l’efficienza portuale e valorizzarne la catena logistica, con l’intermodalità fulcro del rilancio anche nel contesto della sostenibilità: il trasporto ferroviario in questo senso è un ambito sul quale puntare ulteriormente. Durante la pandemia si è registrato tra l’altro un sensibile aumento del trasporto su ferro sulla rotta Cina-Europa. Secondo China State Railway Group, a luglio i convogli hanno toccato il numero record di 1.232, con una crescita del 68% su luglio 2019: buona parte dei dispositivi di difesa anti-Covid, quasi 5 milioni di pezzi, è stato instradato su ferrovia. Con 23,1 miliardi Pechino rappresenta il 18% di tutto l’import via mare italiano. Il primo Paese cliente per modalità marittima restano però gli Usa, che con 28,1 miliardi concentrano il 24% del nostro export.