Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  novembre 26 Giovedì calendario

Lo chef Antonio Ziantoni si racconta

Aria di festa a Trastevere. Una cucina stranamente in subbuglio, un brindisi fuori orario. Lo chef Antonio Ziantoni ha appena saputo di aver ricevuto il Premio Michelin Giovane chef 2021.
La prima stella a 33 anni, dopo soli due anni e quattro mesi dall’apertura del suo Zia restaurant in via Mameli. Un’emozione inaspettata?
«Come vincere un mondiale di Formula uno, da quando mi hanno avvisato non capisco più niente, ho perso il telefono, non entrate per favore...».
Alle spalle una preparazione che arriva da lontano e curata negli ultimi anni nei particolari.
«Ho frequentato l’istituto Alberghiero Vespucci, poi la scuola internazionale di cucina italiana Alma, quindi ho girato il mondo dalla Cina all’Australia».
Prima negli alberghi, poi esperienze sempre più importanti. In particolare quali?
«Ho lavorato in due ristoranti tre stelle Michelin: George Blanc a Vonnas e Gordon Ramsey a Londra. Gli ultimi quattro anni, prima di volare da solo, al Pagliaccio di Roma, alla corte di Anthony Genovese, il mio mentore, dove ero già stato per uno stage quando ero ancora imberbe».
La svolta poco più di due anni fa. La sfida, ora, di questi tempi.
«Con la mia compagna Ida ho aperto il ristorante, era il mio sogno. Cerco di fare una cucina moderna con delle basi solide, senza fronzoli. E le ha. Sono radicate sul territorio italiano, ingredienti presi da piccoli produttori. Io la chiamo essenzialità profonda, profondità essenziale».
Alta cucina nel rispetto della tradizione?
«Due o tre ingredienti sempre nei piatti. Tutto molto riconoscibile, quello che ci appartiene usiamo, della zona e dell’Italia. Il nostro Paese ha prodotti che vanno valorizzati, ecco, raccontiamo questo, nei piatti. Non c’è bisogno di cercare altrove cose che già abbiamo».
Ci sono piatti particolarmente apprezzati?
«La carta cambia spesso, ma l’animella di vitello è in carta da due anni, come pure il branzino. E uso molto la pasta, fresca, ripiena, siamo italiani».
Come ha saputo del riconoscimento? 
«Sono stato appena avvisato. Immagino siano venuti degli ispettori abbiano mangiato e valutato. È pazzesco, questa è la mia vita, qui c’è la mia anima, non ho nessuno alle spalle, siamo io, la mia compagna e nove dipendenti».
E una esperienza internazionale elevatissima.
«È un ristorante familiare e in questo anno buio è stata veramente dura. Ci abbiamo messo anima, cuore e salti mortali».
Siete stati ripagati?
«Sono emozionatissimo, non pensavo proprio di finire così questo 2020».