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 2020  novembre 26 Giovedì calendario

I miracoli di Chiara Ferragni

«Hollywood mi ha insegnato che il vero pericolo di seguire la massa è scomparire nel mare che ci rende tutti uguali», scrive Jeetendr Sedhev, consulente delle principali celebrità di Hollywood, nel manuale culto “Il Principio di Kim Kardashian”, quando analizza come si possa costruire un impero partendo dai social media. È un insegnamento importante. Perché ci fa capire come mai l’annuncio dell’accordo di licenza pluriennale di Chiara Ferragni con Velmar (gruppo Aeffe) e Monnalisa, rispettivamente per una collezione nell’intimo e beachwear e nell’abbigliamento di alta gamma per bambini, ha fatto schizzare i due titoli in borsa.
Al di là del rumore legato ai fattori tecnici di fondo (entrambe le aziende hanno una capitalizzazione di mercato di dimensioni ridotte con titoli poco liquidi), il mercato ha ben compreso come un’intesa di questo tipo possa beneficiarle, specialmente in un momento di crisi che ha colpito particolarmente il comparto moda.
Il sistema delle licenze è sempre stato uno spazio ricco e un modo intelligente per il lusso di monetizzare i propri marchi e seguire gli affezionati clienti anche in settori diversi da quello principale. Basti pensare che in questo modo Armani firma arredamento e occhiali, Moncler i profumi, la Nike l’intimo e Diesel i divani. Tramite questi accordi di distribuzione le società che disegna, produce e distribuisce i prodotti firmati riconosce una percentuale delle vendite (royalties) ad Armani, Moncler Nike e Diesel in cambio del proprio nome. Al tempo stesso la finanza attribuisce da sempre alle società del lusso e ai prodotti firmati un premio legato al valore intangibile del marchio e ai margini più alti su cui questi possono contare, per cui non c’è da stupirsi che il mercato abbia percepito immediatamente il valore potenziale di questi accordi. Tuttavia, l’aspetto più interessante è la novità del fenomeno, è la sua capacità di creare valore che il mercato ha subito cavalcato. I campioni del lusso come Chanel, Prada, Armani impiegano anni e milioni di euro per consolidare la propria identità e diventare un punto di riferimento e, solo dopo aver costruito un costoso avviamento, possono “spenderlo” in altri settori tramite accordi di licenza. Le risorse mobilitate da influencer di successo e i loro tempi di ascesa sono decisamente inferiori a quelli delle grandi marche tradizionali, ma non per questo è meno importante il loro richiamo emotivo sul consumatore e tutto quello che ne consegue. Con questa prospettiva, il lusso si affida agli influencer come ambasciatori per amplificare la reazione e attrazione dei clienti verso i propri prodotti. Probabilmente le grandi marche, tradizionalmente legate a giornali, radio e tv, non si sarebbero mai immaginate che a un certo punto i brand di alcuni influencer potessero competere con il loro. Al punto che un’influencer famosa come Chiara Ferragni può siglare accordi di licenza esattamente come una casa di moda. Ancora una volta la finanza ha visto in profondità, premiando le azioni di Aeffe e Monnalisa non tanto per i potenziali ricavi legati agli accordi di licenza, quanto per l’intensità con cui gli influencer ci portano nelle loro vite, si legano a noi e orientano sempre più le nostre scelte di acquisto.
Chiara Ferragni ce l’aveva anticipato: “Fra pochi anni potremmo non essere su Instagram, ma se tutto va bene saró alle prese con la mia prossima avventura”. Era naturale che prima o poi, partendo dal mondo dei social in cui l’originalità è il primo fattore di successo, e con una personalità fortissima e magnete di follower, Chiara Ferragni diventasse in poco tempo un vero e proprio marchio del lusso italiano.