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 2020  novembre 26 Giovedì calendario

Vergani, lettere a un eclettico

Giovanni Comisso gli manda una cartolina postale in cui caldeggia la pubblicazione di una novella sulla «Lettura». Lo stesso fa Aldo Palazzeschi per un «raccontino». Emilio Cecchi gli invia una recensione purché, «nell’interesse tuo e mio», esca «come elzeviro e non sacrificata in una colonnina». Giorgio Bassani gli spedisce una poesia «perfetta» per la Terza Pagina, pretesa che ne ricalca una analoga di Leonida Répaci. E mentre Sem Benelli concorda a distanza i ritocchi a un testo, Ada Negri replica a un suo telegramma dicendosi «irraggiungibile» perché al capezzale della figlia, sofferente per una «febbre puerperale». A premere per corrispondenza ci sono poi Luigi Pirandello, Ugo Ojetti, Marino Moretti e infiniti altri, che gli lanciano proposte o chiedono consigli e addirittura aiuto a negoziare i compensi. E lui, verso chi gli riconosce questo ruolo da organizzatore dei contenuti letterari del giornale, non si tira mai indietro, tra il 1926 e il 1959. Per amicizia, ma soprattutto perché serve al «Corriere».
Resta un mistero come Orio Vergani riuscisse a sbrigare così tante cose senza nulla togliere all’incarico di inviato speciale e critico del quotidiano di via Solferino, oltre al lavoro di drammaturgo e narratore. Del suo profilo professionale è leggendaria la facilità e felicità di scrittura (con ventimila pezzi in archivio), e infatti proprio per tale dote lo battezzarono Orio felix. Però di questo secondo mestiere di suggeritore della Terza Pagina e soprattutto del supplemento «La Lettura» – fondato da Luigi Albertini nel 1901 – si era perso il ricordo.
Una funzione che fra gli anni Trenta e Quaranta crebbe fino alla massima responsabilità tanto da essere forse anche formalizzata, come testimonia una missiva del 1932 indirizzata appunto a Vergani «direttore de La Lettura» di pugno del generale e senatore del Regno Guglielmo Pecori Giraldi, il quale, dichiarando di «non conoscere abbastanza a fondo la storia di Garibaldi», declinava «le quattro richieste» di comporne «una sintesi». O come il messaggio, datato sempre 1932, del «maresciallo d’Italia» e «comandante dell’Armata del Grappa» Gaetano Ettore Giardino, che gli si rivolge chiamandolo anch’egli «direttore» per annunciargli la rinuncia all’offerta di stendere un’analisi sulla Grande Guerra.
È l’ennesima prova della generosità che scattava in lui quando era in gioco il giornale e che completa l’idea della sua «mostruosa versatilità» (definizione di Indro Montanelli), in grado di sbalordire perfino un direttore felpatamente cinico quale era Mario Missiroli. «Vergani è come Ermete Novelli, può fare tutte le parti in commedia», disse, paragonandolo al poliedrico attore vissuto tra Otto e Novecento.
Era vero. E oggi, grazie a quei carteggi, sappiamo che, senza mai vantarsene, il grande Orio spesso si sdoppiava. Spogliandosi dei panni del solista per vestire quelli del suo alias così bravo a organizzare l’opera dei prestigiosi collaboratori a disposizione della sezione culturale di via Solferino.
Collaboratori illustri
Bassani manda dei versi, Palazzeschi un racconto Gli chiedono aiuto Pirandello e Ugo Ojetti
A sessant’anni dalla scomparsa è giusto segnalare questa piccola scoperta. Utile, oltre che per la memoria del «Corriere», per rendere ancora una volta onore a uno dei suoi più popolari e amati giornalisti.
Nei manuali di storia della professione, Vergani è segnalato come «un fenomeno». Un modello inarrivabile, con cui varrebbe la pena di confrontarsi pure ai giorni nostri. Per tecnica e stile, in primo luogo, che non lo videro mai attardarsi sui canoni della prosa d’arte allora di moda, per quanto quel tipo di scrittura fosse appesantito da divagazioni tortuose, preziosismi manieristici, asfissianti intrecci di metafore, citazioni acrobatiche. Mentre i suoi pezzi andavano ben oltre i trucchi da accademia del «bello scrivere», e spiccavano per rigore espressivo, limpidezza, eleganza, umanità, immediatezza e, insomma, per un riconoscibilissimo smalto di autenticità.
Ecco lo standard Vergani. Che, come uomo, si distingueva in redazione anche per l’umiltà e la disciplina, passando senza recriminare da un’intervista a d’Annunzio a una cronaca minore, da un reportage su qualche rivoluzione a un elzeviro di costume, da una critica d’arte a un resoconto di una delle competizioni sportive che lo entusiasmavano, come il ciclismo (per inciso: seguì 27 Giri d’Italia e 25 Tour de France).
Gaetano Afeltra, storico vicedirettore in via Solferino e memoria dell’identità corrierista, per spiegarne la disciplina e dedizione al giornale, rievocava la volta in cui lo chiamò alle 2 di notte a Roma, dove Vergani era andato per la Quadriennale, domandandogli un coccodrillo su Fausto Coppi in agonia. «I medici gli danno 10-15 ore di sopravvivenza. Prepara un pezzo che possa andare in tutti e due i casi: se vive o se muore, con due attacchi e due finali intercambiabili». Dopo un paio d’ore Orio stava già trasmettendo. Ma i pezzi erano due e non uno», raccontava Afeltra. «Non una parola uguale nell’uno e nell’altro, a parte il nome di Coppi».
Nel 1990 i figli Leonardo e Guido pubblicarono il diario segreto del padre, che in parecchie pagine tradiva un triste senso di incompiutezza. «Compio i miei quarantaquattro anni di lavoro. Avessi raccolto ogni cosa che ho scritto, non basterebbe una parete del mio studio per contenere tutto. Molti quintali di carta, riempita con questa mia calligrafia. Non so se commuovermi, o impietosirmi o insuperbirmi, o immelanconirmi… E non ho fatto nemmeno la decima parte di ciò che avrei voluto fare in una sede privata. Sono un vecchio facchino che vuol badare a troppi fornelli». Mancavano tre mesi e mezzo prima che un infarto lo stroncasse improvvisamente. A soli 62 anni.