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 2020  novembre 26 Giovedì calendario

L’ultima intervista di Maradona

Diego Armando Maradona è morto e il mondo non è più lo stesso. Per gli argentini e molti appassionati di calcio di tutto il mondo, se ne è andato l’uomo con il miglior tocco di palla della storia. Aveva compiuto 60 anni nel 2020 e in quel contesto aveva rilasciato quella che sarebbe stata la sua ultima intervista al Clarín.

Il bambino nato a Villa Fiorito, il ragazzino che aveva consumato l’unico paio di scarpe che aveva sul campetto, il giovane che aveva iniziato a sognare di entrare nei Cebollitas, formatosi nella prestigiosa scuola degli Argentinos Juniors per salire su un ottovolante che non avrebbe mai potuto immaginare.
L’allenatore che sarà sempre un calciatore. Quello capace di stoppare una palla infangata anche con l’abito nuovo. Quello delle contraddizioni.
Quello della Coppa del Mondo perfetta e quello del doping. Il ragazzo che ha reso virale la sua vita quando nemmeno esisteva questo concetto. Quello che è stato il protagonista principale, nel bene e nel male, di un incessante reality.
Quella che un paio di volte rischia di non riuscire a dribblare la morte.
Quello che stavolta è stato vinto.
L’uomo in cui sono convissuti tutti questi ingredienti e molti altri: Diego Armando Maradona.
Qual è stata la cosa più bella e la più brutta che ti è successa nella tua vita? Hai dei rimpianti?
«Sono stato e sono ancora molto felice. Il calcio mi ha dato tutto quello che ho, più di quanto potessi immaginare. E se non avessi avuto quella dipendenza avrei potuto giocare molto di più. Ma oggi è acqua passata, sto bene e quello che rimpiango di più è non avere i miei genitori. Esprimo sempre questo desiderio, un giorno in più con la Tota, ma so che dal cielo è orgogliosa di me e che è stata molto felice».
Solleva il bicchiere per il tuo compleanno ed esprimi un desiderio per tutti gli argentini.
«Il mio desiderio è che questa pandemia passi il prima possibile e che la mia Argentina possa voltare pagina. Voglio che tutti gli argentini stiano bene, abbiamo un Paese bellissimo e confido nel fatto che il nostro presidente possa tirarci fuori da questo momento. Mi dispiace molto quando vedo bambini che non hanno abbastanza da mangiare, so cosa significa avere fame, so cosa si prova nella pancia quando non si mangia per diversi giorni e questo non può succedere nel mio Paese.
Questo è il mio desiderio, vedere gli argentini felici, che abbiano un lavoro e la possibilità di mangiare ogni giorno».
La pandemia ti ha colpito da vicino: tuo cognato è morto, tua sorella Lili ne è stata colpita e anche tu hai dovuto rispettare delle regole rigorose. Hai paura del coronavirus?
«Questa è la c osa peggiore che ci potesse capitare, non ho mai visto niente del genere. E colpisce molto più duramente l’America Latina. Spero che finisca presto, ci sono persone in grande difficoltà, molti disoccupati, che non hanno nemmeno i soldi per mangiare. Ho fiducia in Putin, sono sicuro che presto avrà un vaccino perché non se ne può più».
Ti rendi conto di come cambia l’espressione della persone quando si avvicinano a te, ti vedono o ti toccano?
«Sarò eternamente grato alla gente.
Riescono a sorprendermi ogni giorno, quello che ho vissuto in questo ritorno al calcio argentino non lo dimenticherò mai. Ha superato quello che potevo immaginare.
Perché sono stato via per molto tempo e a volte ti chiedi se le persone ti ameranno ancora, se proveranno ancora le stesse cose... Quando sono entrato in campo a Gimnasia il giorno della presentazione, ho sentito che questo amore non finirà mai».
Che cosa c’è nello sportivo argentino di qualsiasi disciplina che fa l’impossibile per difendere i colori biancocelesti?
«Lasciamo il Paese molto presto, viviamo fuori per molto tempo e ci manca molto. Ecco perché quando una squadra ti chiama, tu sei disposto a andarci anche a nuoto. Perché è sentirti di nuovo nel tuo Paese, è come difendere la bandiera e questo ci rende diversi».
Cosa ti entusiasma dello sport argentino?
«Ogni cosa, guardo tutto, seguo ogni argentino ovunque si trovi. Ovunque sia presente la bandiera argentina sarò sempre lì a fare il tifo. Quando vedo il volto di qualche sportivo argentino che vince, mi emoziono.
L’altro giorno ho visto il Peque (Diego Schwartzman) contro Nadal e ho sofferto più di lui».
Come hai vissuto il caso Messi-Barcellona? Al suo posto, avresti sbattuto la porta?
«Sapevo che sarebbe finita male e pensavo che Leo se ne sarebbe andato. È successo anche a me. Il Barcellona non è un club facile e lui è lì da molti anni e non è stato trattato come meritava. Gli ha dato tutto, li ha portati sulla vetta e un giorno ha chiesto di uscire per cambiare aria e gli hanno detto di no. Il fatto è che sbattere la porta non è facile, c’è un contratto, un club molto grande, la gente che ti ama. Io a Napoli non l’ho fatto».
Chi ha più probabilità di vincere la Copa Libertadores: il River o il Boca?
«Il Boca è una bella squadra, mi piace. Miguel (Russo) ha dato solidità in difesa e ora ha aggiunto un paio di giocatori che hanno portato il suo livello più in alto. Il River lavora da tempo con Gallardo e questo è importante, si conoscono già a memoria, ma stavolta ho molta fiducia nel Boca».
(traduzione di Luis E. Moriones ©Clarín)