La Stampa, 25 novembre 2020
Helmut Newton fa ancora discutere
Misogino, machista, autore di scatti offensivi per la dignità femminile, ma anche autoritario e carismatico al punto da mettere in soggezione la first lady della moda Anna Wintour che, per evitare di incontrarlo in occasione di un servizio di British Vogue, si dichiarò ammalata mentre stava benissimo. Riproporre oggi, in Helmut Newton The bad and the beautiful, regia di Gero Von Boehm, la figura del leggendario fotografo ebreo cacciato dalla Berlino nazista ha il senso di una provocazione. Nel 1978, quando la rivista Stern mise in copertina una sua foto in cui Grace Jones appariva senza vestiti e con i piedi incatenati, la femminista Alice Schwarzer parlò di scatto «da allevamento di bestiame» e raccolse l’appoggio di signore molto in vista con l’obiettivo di portare l’autore in tribunale. In un talk-show televisivo, la scrittrice e filosofa americana Susan Sontag, con il sorriso sulle labbra, accusò Newton di misoginia. Eppure, ancora adesso, come racconta il documentario in cartellone al Tff (distribuito da Movies Inspired), la questione è aperta. La foto di una donna a quattro zampe, con una sella da cavallo sulle spalle è animata da due forze uguali e contrarie, da una parte la provocazione erotica, dall’altra la denuncia dell’umiliazione insita nella strapotere maschile.Nell’arco di questo dilemma si sviluppa l’intera carriera di un artista che ha rivoluzionato la tecnica fotografica, sessualizzando la moda, giocando con i tabù, osando ben oltre i limiti del «politically correct». L’ampia carrellata di interviste dimostra quanto possa essere variegato il pensiero femminile, libero da etichette e pressioni ideologiche. Nel film la top model Nadja Auermann ricorda il disagio della seduta fotografica, in un albergo di Monaco, in cui venne ritratta sdraiata di schiena, capelli in disordine, gambe rigide, occhi spalancati e boa di piume rosa: «Sembro – è il suo commento – una bambola Barbie lasciata lì, dopo che qualcuno ci ha giocato».
Sensibilità offese, ma anche esaltate. Un’attrice come Charlotte Rampling rievoca le prime foto con Newton, nuda, seduta su una scrivania, con una cascata di capelli biondi simile alla criniera di una leonessa: «Erano immagini che comunicavano un enorme senso di potere». La sua collega Marianne Faithfull si presentò indossando il giubbotto di pelle del marito punk: «All’epoca ero piuttosto pudica, Helmut mi ha fatto mostrare le tette». Tra il nostalgico e il divertito, Hanna Schygulla, la musa di Werner Fassbinder, parla di quella volta in cui il semplice sollevare le braccia mostrando ascelle non depilate si era rivelato gesto cruciale per l’ispirazione del fotografo.
Con Isabella Rossellini, che sottolinea l’importanza del clima culturale dell’epoca, gli Anni 60 della rivoluzione sessuale, parlano Claudia Schiffer, che ammette «quando guardo quelle foto non riesco a riconoscermi», e Grace Jones che contesta la visione di Newton donnaiolo e confessa di essere stata più volte scartata perché aveva un seno molto piccolo. Di se stesso Helmut Newton diceva: «Sono un voyeur professionista». E il suo personale manifesto artistico non lascia dubbi: «Amo la volgarità. Sono molto attratto dal cattivo gusto, è molto più eccitante di quel presunto buon gusto, che non è altro che un modo standardizzato di vedere le cose. Il buon gusto è anti-moda, anti-fashion, anti-foto, anti-ragazza, anti-erotismo. La volgarità è vita, divertimento, desiderio, reazioni estreme». Nel 2004 Helmut Newton è morto in un incidente d’auto a Los Angeles, chissà che foto avrebbe fatto oggi, nell’atmosfera vigile del post-MeToo.