La Stampa, 25 novembre 2020
Il primo rider assunto
Quarantacinque centesimi a chilometro, un euro e 75 a consegna, bonus pioggia di un euro e venti se tocca correre sotto l’acqua. «Una volta sono rimasto in servizio per tre giorni con la febbre a 38.7, ma non avevo alternativa: per arrivare a 1.500 euro al mese dovevo lavorare sette giorni su sette». Può parlare al passato Marco Tuttolomondo, che grazie ad una sentenza del tribunale di Palermo è il primo rider d’Italia con un contratto a tempo indeterminato, lo stipendio fisso, le ferie, la malattia e i contributi. Poche settimane fa, perso il lavoro con Glovo, insieme alla moglie si era dovuto trasferire dalla suocera: a 49 anni, un appartamento in affitto non poteva più permetterselo.
Lei è diventato in poche ore un riferimento per una categoria di giovanissimi. I sindacalisti dicono che in questi ragazzi spesso c’è poca consapevolezza di poter chiedere di meglio. Per loro è normale così.
«Purtroppo è vero. Io vivo a Palermo, occasioni di lavoro ce ne sono poche e tanti finiscono per accettare tutto. Poi molti colleghi sono studenti che vogliono solo arrotondare e hanno poche pretese. Una volta mi sono ritrovato a scioperare da solo. Ma la consapevolezza sta crescendo, grazie anche al ruolo del sindacato. E il 30 ottobre scorso i ragazzi hanno saputo emozionarmi molto più della vittoria in tribunale. Era il giorno del primo sciopero nazionale, non ero riuscito ad arrivare in tempo per la partenza del corteo ma loro senza di me non si sono mossi: decine di motorini e bici con le bandiere, tutti fermi. Ero l’unico ad aver fatto causa e mi volevano con loro».
Voi rider siete un simbolo delle diseguaglianze che attraversano la nostra società. Che cosa significa per lei?
«Per me la diseguaglianza è esserci sentiti dire per mesi, nel primo lockdown, che eravamo degli eroi come gli infermieri perché salvavamo intere filiere, e poi ritrovarci a settembre con un contratto truffa che ci ha tagliato gli stipendi del 20-30%. Non ci rispettano e questo accade come se fosse una cosa normale, nell’indifferenza».
In una prima fase i sindacati erano lontani dal vostro mondo, ora c’è un impegno diverso. La vostra vertenza è sul tavolo del governo.
«Sì, i sindacati ci stanno aiutando e la mia causa è stata vinta grazie a Nidil-Cgil. Ma siamo ancora lontani dalla normalità. Spero solo che il risultato che abbiamo raggiunto possa aiutare molti colleghi. E che tutti capiscano che siamo un anello della filiera come tutti gli altri: senza di noi, non lavorano i ristoranti, i loro fornitori, l’industria. A me è capitato di rimanere sulla moto dalle quattro di pomeriggio alle due di notte, senza fermarmi neanche per mangiare e usando il marciapiede come bagno. Volevo prendere quanti più ordini possibile. Perché noi dobbiamo essere trattati così?».
Ha ottenuto un contratto di sesto livello, settore commercio. Ce lo traduca: cosa cambierà nella sua vita da domani? Riprenderà una casa con sua moglie?
«Sa che non ho ancora chiesto quanto guadagnerò? Il mio primo pensiero è stato che la prossima volta che avrò 38.7 di febbre potrò stare a casa. Questo cambierà».