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 2020  novembre 24 Martedì calendario

Salvate l’onore degli statali

I sindacati confederali hanno scelto di far odiare i dipendenti pubblici dagli italiani. Hanno proclamato uno sciopero per il 9 dicembre per chiedere aumenti per il contratto 2019-2021 ulteriori rispetto a quelli, tutt’altro che irrisori, già stanziati in legge di bilancio. Il fondo per il rinnovo dei contratti degli statali (esclusi medici e infermieri, per i quali è già stata prevista una posta separata di bilancio) vale infatti 3,8 miliardi, per un aumento medio del 4% in un anno in cui l’inflazione sarà presumibilmente pari a zero se non negativa. Dato che il contratto degli statali è apripista rispetto a quello degli enti locali, l’aumento già riconosciuto agli statali comporta altri 3 miliardi di euro per i dipendenti di Comuni, Province, Regioni e città metropolitane. Eppure secondo i sindacati del pubblico impiego questo aumento non basta: ci vuole di più, altrimenti bloccheranno i servizi pubblici nel mezzo dell’emergenza nazionale.
Nel 2020 più di 6 milioni e mezzo di dipendenti privati sono finiti in cassa integrazione, con una riduzione media del 35-40% della retribuzione. Quando a zero ore, la Cig garantisce infatti un pagamento massimo tra gli 800 e i 1.200 euro. I dipendenti pubblici non hanno subito riduzioni delle loro retribuzioni, già mediamente più alte che quelle dei privati. Le differenze sono ancora più stridenti quando consideriamo i contratti a tempo determinato: tra i dipendenti privati in 700.000 hanno perso il lavoro, molti altri si sono visti abbassare le retribuzioni, già in partenza inferiori del 40% rispetto ai lavoratori temporanei nel pubblico.
Nel pubblico impiego c’è chi ha smesso completamente di lavorare, eppure ha continuato a percepire il proprio stipendio pieno. Anzi, più di prima, perché dal luglio 2020 quasi tutti i dipendenti pubblici hanno ricevuto gli 80 euro del governo Renzi. Questo mentre le scuole italiane, al contrario che nel resto d’Europa, sono state chiuse da marzo. Secondo un’indagine condotta da AlmaLaurea fra gli studenti di quarta e quinta superiore maggiormente informatizzati, un terzo della scuola italiana (con punte della metà negli istituti professionali) ha offerto didattica a distanza per meno della metà delle ore previste. Nelle elementari e nelle medie inferiori la percentuale di didattica svolta a distanza è presumibilmente ancora più bassa. Durante il lockdown la giustizia si è fermata quasi del tutto, con udienze spesso spostate da un anno all’altro. Il presidente del Tribunale di Milano, Roberto Bichi, non ha esitato a utilizzare il termine “finzione” con riferimento al “lavoro agile” svolto dall’85 per cento del personale amministrativo del tribunale. Le cancellerie dei tribunali sono state chiuse bloccando di fatto la giustizia penale.
Non ci risulta che ci siano stati blocchi comparabili in altri Paesi europei. Ad esempio in Francia, Germania e Regno Unito la chiusura totale delle scuole nel primo semestre c’è stata solo per poco più della metà dei giorni che in Italia. Eppure nel Regno Unito il cancelliere Rishi Sunak ha annunciato lunedì il congelamento dei salari dei dipendenti pubblici, al di fuori della sanità e dell’esercito. In Germania, che ha tenuto le scuole aperte anche durante la seconda ondata, l’aumento sarà dell’1,8%, quindi meno della metà di quello già riconosciuto in Italia, e circoscritto ai servizi essenziali, lasciando fuori la maggioranza dei dipendenti dei ministeri.
Lo stridente contrasto fra la sorte dei dipendenti pubblici e di quelli privati non sembra essere percepito dai vertici confederali. Essere dipendente pubblico significa mettersi al servizio dei cittadini, non mettere i cittadini al proprio servizio. Non è un caso che in tutti i Paesi fra i dipendenti pubblici sia più alta la percentuale di coloro che vantano un impegno nel volontariato e nell’assistenza sociale. Se vogliono recuperare il rapporto col resto dei cittadini, i vertici confederali dovrebbero chiedere di devolvere le risorse stanziate per il rinnovo dei contratti alle assunzioni necessarie per sostituire chi ha lasciato per Quota 100 (una misura che ha beneficiato soprattutto il pubblico impiego) e spingere affinché le assunzioni già pianificate avvengano subito, con procedure concorsuali vere, che possono anche essere svolte interamente online.
Ragioni di coesione sociale imporrebbero di estendere la cassa integrazione ai dipendenti pubblici, pagando meno chi rifiuta di seguire corsi di formazione che lo mettano in condizione di essere rapidamente operativo anche a distanza: il livello di alfabetizzazione informatica dei dipendenti pubblici italiani è tra i più bassi in Europa secondo i dati Ocse.
Ma forse questo sarebbe chiedere troppo. Basterebbe che i sindacati smettessero di avvilire quei dipendenti pubblici che in questi mesi hanno dato l’anima per fare il loro lavoro, che hanno rischiato la vita nelle corsie degli ospedali, che hanno insegnato a pieno ritmo anche in condizioni molto difficili, o che hanno passato le notti insonni per cercare di pagare rapidamente la cassa integrazione nonostante leggi mal scritte. Questi dipendenti pubblici non si meritano un sindacato che rischia di togliere loro il giusto riconoscimento sociale che si aspettano da ognuno di noi.