ItaliaOggi, 24 novembre 2020
Periscopio
I napoletani hanno sempre avuto il loro fast food. Si chiama pizza. Luciano De Crescenzo.
L’individuo equilibrato è un pazzo. Charles Bukowski.
Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano. Antoine De Saint-Exupery.
Con Stefania Craxi ho rapporti strani. L’ho incontrata per caso, a casa di amici comuni ed è finita che mi ha pianto sulla spalla, dicendo: «Grazie di esser stata vicina a papà». Poi, però, alla padrona di casa ha detto: «Se inviti ancora Patrizia, non mi vedi più». Ma la capisco, era sincera in entrambe le occasioni». Patrizia Caselli, compagna di Bettino Craxi (Alessandro Penna). Oggi.
Sta nascendo una nuova storiografia, più fantasiosa di quella che consociamo, una storiografia affluente e postmoderna che butta via il vecchio ciarpame accademico, da Tacito a Montesquieu a Monsen e Santo Mazzarino e usa testi più aggiornati. Per sapere qualcosa sugli antichi galli, d’ora in poi sarà inutile cunsultare Poseidonio. Eratostene, Cesare, Diodoro Siculo, Camille Julian o Carcopino. Basterà sfogliare le pagine di Asterix. Saverio Vertone, L’ultimo manicomio. Rizzoli, 1992.
Che cosa aspettasse il cancelliere Adenauer lo sapevano soltanto Dio e lui stesso, che non era un tipo da perdersi in confidenze. Aspettare era il suo segreto, aspettare sempre. Aveva saldamento ancorato la sua mezza Germania alle democrazie occidentali, respinto le lusinghe di una riunificazione all’insegna del neutralismo. La Prussia orientale con le conquiste dei Cavalieri medioevali, e la Slesia, ch’era costata alla Prussia e all’Austria guerre sanguinose, se l’erano ingoiate la Russia, la Polonia smisurata e inutile, cacciata a pedate verso l’Ovest. Piero Buscaroli, Paesaggio con rovine. Camunia, 1989.
Appena diagnosticato positivo al Covid ti viene l’istinto a non piangerti addosso, questa malattia è subdola, puoi stare due o tre giorni con poca febbre, addirittura senza, come successo ad alcuni miei amici, e dopo sette giorni ti negativizzi. Speravo di essere in quel mazzetto di fortunati vincitori del Boero, i cioccolatini con il regalo. Gerry Scotti, presentatore tv (Renato Franco), Corsera.
Dopo la sconfitta nella finale di Wimbledon 2007 con Federer piansi negli spogliatoi, disperatamente. Per un’ora e mezza. Perché a volte la disillusione è terribile; anche se è solo un incontro di tennis. Ho pianto di dolore quando, nella finale degli Australian Open con Wawrinka nel 2014, mi sono infortunato alla schiena dopo aver vinto il primo set. Ho perso, ma ho portato a termine l’incontro; perché non ci si ritira da una finale Slam. Rafa Nadal, campione di tennis (Aldo Cazzullo). Corsera.
Sono sinceramente stupito dalla sarabanda sollevata da Nicola Morra (M5s). Va a radio Capital e dice una cosa su Jole Santelli, morta da poche settimane, sul fatto che i calabresi non dovevano votarla, non so se per malattia, il cancro, o per il partito, Forza Italia. Ho ascoltato la frase quattro o cinque volte e non ci ho capito nulla. Eppure Morra è uno che sa usare le parole, è laureato, ha insegnato al liceo, cita Aristotele, Max Weber, Jacques Maritain, ragione per cui è molto stimato fra i cinque stelle. Ieri, per esempio, si è offerto per «riverginare l’imene». Già un altro passo. Quando si decide di andare al governo lui telefona al garante (Grillo) preoccupato che si sconvolga «l’ontologia del movimento». In parlamento avverte che bisogna dire la verità ma «gnoseologicamente». Si scaglia contro le «prolisse omelie mistificatorie» degli «epistemologi». Invita a «denudarsi delle sovrastrutture» e ad amare la famiglia nel «senso della trascendenza», ad acquisire una «mentalità tomistica», ad affrontare il Covid distinguendo «doxa ed episteme», insomma a praticare «la vera politica che sposa come euristica del’agire la procedura del confronto». Mettiamola così, si vede che stavolta l’euristica dell’agire gli è venuta un po’ a cazzo. Mattia Feltri. la Stampa.
Dino Buzzati è disciplinato, in redazione. Svolge in modo meticoloso qualsiasi mansione gli venga affidata, senza discutere: è il classico soldato cui si affida la guardia del bidone di benzina, che nei giornali dell’epoca, in genere, vuol dire riscrivere gli incipit degli articoli, cercare gli errori e le incongruenze, mandare in stampa pagine perfette. Senza che nessuno ti dica mai «grazie». Il libro a sorpresa di «Cretinetti», così era definito Buzzati dai suoi colleghi del Corsera. Dino Buzzati, Maurizio Pilotti. Libertà.
Questo mio ultimo romanzo (La strada del mare) è anche un romanzo di formazione. Sto facendo la storia del mio territorio, di questa nazione veneto-pontina. È la strada del mare che porta il progresso e il benessere a Latina e che a queste masse di coloni, arrivati dal Veneto e da altre regioni per lavorare, apre la prospettiva del mare e del lago di Fogliano, cioè la bellezza, la felicità. Lo deve vedere, il lago, col sole che tramonta sullo sfondo, le dune gialle, il lago da una parte e il mare dall’altra... Se se ne è innamorata Jackie Kennedy, voglio vedere se non si innamora pure lei. Antonio Pennacchi, scrittore (Eleonora Barbieri). Il Giornale.
Noi abbiamo creduto in Luis Sepúlveda, un grande scrittore, quando nessuno o quasi lo conosceva. Pensi che io l’ho letto per la prima volta in una edizione francese dopo aver notato un breve articolo dell’Express. Era il 1992. Il libro era Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. È bastata una prima lettura per capire che mi trovavo davanti a una voce completamente nuova, uno stile originale che si discostava dalla precedente stagione dei latinoamericani come Cortázar. Il libro uscì per Guanda nel 1993. Il mio mestiere è così: imparare a convivere con il caso e ogni volta che ti capita tra le mani un libro augurarsi: «Speriamo che questo sia il nuovo Foer». Luigi Brioschi, presidente e direttore della casa editrice Guanda (Roberta Scorranese). Corsera.
«Leucemia, hai detto? Ma è pazzesco…l’ultima volta che ci siamo visti, al concorso ippico, aveva un’aria così sana, era abbronzato, sorridente. Dimmi una cosa, lui come l’ha presa? È rassegnato?, abbattuto?». «Né l’uno né l’altro. È impassibile. M’ha detto che questo è un mondo che ha cominciato a stancarlo. Non lo diverte più…». Nantas Salvalaggio, Il salotto rosso. Mondadori, 1982.
La prima cosa che chiederò quando andrò all’inferno sarà un caffè bollente. Roberto Gervaso.