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 2020  novembre 24 Martedì calendario

Pechino, basta salvataggi obbligati

Fallire è glorioso. Cade un tabù del sistema socialista con caratteristiche cinesi, tradizionalmente allergico ai defaults. A dare la spallata finale alla fobìa di Pechino per i crolli aziendali è l’ultimo China financial stability report della Banca Centrale con una svolta che incita al default controllato.
La novità si annida nelle 168 pagine del documento di stabilità che tenta di esorcizzare il sempiterno demone dei rischi sistemici ed è riassumibile in una semplice dichiarazione programmatica: «I salvataggi bancari devono essere effettuati in modo sistematico e orientato al mercato».
Niente più ciambelle lanciate alle aziende che annaspano davanti alla scadenza dei bonds, ma via libera ai fallimenti controllati sia delle aziende pubbliche sia di quelle private, specie se in affari con gli enti locali, cronicamente indebitati. Chi merita di soccombere, d’ora in poi non sarà più aiutato, e tutto ciò in nome della stabilità dell’economia, in forte ripresa dal Covid-19.
Negli ultimi sette anni, da quando è stato autorizzato il primo fallimento a Shanghai per mancato pagamento del debito corporate, i defaults sono cresciuti del 300%, anche se in cifre assolute toccano “appena” quota 12mila nel 2018. Una porzione infinitesimale rispetto alla massa da 13mila miliardi di dollari Usa di debito corporate onshore.
Il Report fa dietro-front rispetto al modello cinese fondato sul debito. Nel triennio 2017-19 il debito non onorato è stato di 28, 122 e 142 miliardi di dollari Usa. E il 2020 finora ha già registrato il 70% di crescita di defaults sul fronte offshore, segno che la situazione si sta rapidamente deteriorando. Meglio prendere saldamente le redini del fenomeno e gestirlo, ha deciso la Banca centrale. L’operazione leverage del debito corporate è ormai finita. Il sistema deve ripulirsi, d’ora in poi, espellendo le realtà decotte. Via libera a tolleranza zero e alla punizione di tutte le più svariate forme di evasione del debito per proteggere gli investitori.
Si comprendono così le mosse di Pechino degli ultimi tempi, con interventi precisi per punire atti fraudolenti, diffusione di false informazioni al mercato, o trasferimento di asset, l’imposizione del divieto di acquisto del proprio debito, direttamente o attraverso terzi. Inclusa la censura della prassi di scaricare contabilmente il debito sulle agenzie esterne di audit. E le inchieste non solo sulle aziende fallite, ma anche sulla rete di consulenti e banche finanziatrici.
L’anno scorso dopo il salvataggio di due istituti di credito commerciali sull’orlo del baratro, la Banca centrale aveva cambiato umore. Ora ha cambiato addirittura i piani: in linea di principio, le istituzioni finanziarie dovrebbero essere salvate solo se hanno le risorse per compensare il loro debito, si legge nel Report.
Nelle ultime settimane il domino ha travolto una serie di società, la più nota è Yongcheng Coal – un default su obbligazioni in scadenza per 153 milioni di dollari – che, peraltro, vantava un rating AAA alimentato dall’idea che in ogni caso lo Stato sarebbe corso in aiuto.
Simili inadempienze sono il risultato di «fattori ciclici, istituzionali e comportamentali che potrebbero coprire qualsiasi cosa, da problemi fiscali gravi alle frodi, quindi il mercato obbligazionario cinese ha una lunga strada da percorrere», ha detto Xu Lin, ex numero due della NDRC, la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme. E ha aggiunto: «Si sta andando nella direzione giusta, questo è solo l’inizio, il problema continuerà a diffondersi». Il mea culpa è evidente: «Abbiamo investito in troppi progetti attraverso il finanziamento del debito e molti progetti non possono generare abbastanza ritorni economici per ripagare il debito. È solo questione di tempo prima che i defaults emergano».
Il Comitato sulla stabilità dell’intero sistema, presieduto dal vice premier Liu He, ha messo da tempo nel mirino i governi locali invitando le autorità addette alla regolamentazione «a costruire un buon ecosistema finanziario locale e un ambiente creditizio». Le relazioni pericolose tra enti locali e società statali sono note, le municipalità sono state appena autorizzate ad emettere nuovi bond e le quote annuali sono state appena coperte. Dalle borse, dove i nuovi piani di emissione di obbligazioni in calendario sono stati già sospesi e i rendimenti obbligazionari sono schizzati al 34%, un forte indicatore del rischio percepito – il passo del contagio è breve. Meglio, dunque, che i fallimenti diventino la soluzione, piuttosto che un problema.