La Stampa, 24 novembre 2020
Il Covid dell’antichità colpa degli Egizi
Nel XIV secolo a.C. l’Egitto e il regno ittita erano le due superpotenze dell’antichità, a livello politico, militare ed economico. Un po’ come oggi la Cina e gli Stati Uniti, con la differenza che allora i rispettivi territori e possedimenti erano confinanti, e questo acuiva la conflittualità. Negli anni Trenta di quel secolo il re ittita Suppiluliuma I condusse una spedizione militare contro l’esercito egiziano spingendosi all’interno del territorio dell’attuale Libano, allora sotto il dominio faraonico. Il faraone Amenhotep IV (poi rinominatosi Akhenaton) era morto da poco tempo senza lasciare un figlio maschio; i testi ittiti narrano che la vedova del faraone, atterrita dall’esito del raid in Libano e preoccupata per la mancanza di un erede diretto al trono, aveva chiesto a Suppiluliuma di darle in matrimonio un principe ittita che sarebbe divenuto faraone. Suppiluliuma acconsentì, ma il povero principe fu ucciso al suo arrivo in Egitto.
In questo contesto si colloca la diffusione di una terribile pandemia che colpì l’Egitto, il Levante, la Siria, l’Anatolia e forse anche l’isola di Cipro. Le preghiere volte a scongiurare la fine dell’epidemia e indirizzate alle divinità dal re Mursili II, figlio e successore di Suppiluliuma I, ci dicono che le truppe ittite avevano contratto dai soldati egiziani fatti prigionieri una malattia che poi si diffuse in tutta l’Anatolia. Molti Ittiti perirono, tra cui lo stesso re Suppiluliuma e suo figlio Arnuwanda I che morì dopo pochi mesi di regno lasciando il trono al fratello Mursili II.
Né le fonti egiziane, né quelle ittite forniscono indicazioni per comprendere la patologia che colpì gran parte del Vicino Oriente antico: analisi su resti umani rinvenuti in sepolture in Egitto, oppure su fossili di insetti, hanno portato a ipotizzare che si trattasse di peste bubbonica. Ipotesi tuttavia molto discutibile, perché la malattia doveva essere tale da non presentare evidenti manifestazioni sul corpo dei malati. In maniera analoga ai viaggiatori occidentali che sono tornati dalla Cina tra dicembre 2019 e gennaio 2020, ignari di essere portatori del virus Covid 19, i soldati ittiti tornarono in patria affrontando un lungo viaggio e senza sapere di essere «positivi»; ciò contribuì a diffondere l’epidemia in tutto il paese. Inoltre, il periodo di incubazione doveva essere stato abbastanza lungo, perché altrimenti i soldati ittiti si sarebbero ammalati o sarebbero morti già durante il viaggio dalla Siria all’Anatolia settentrionale. Pertanto possiamo ipotizzare che la malattia fosse tularemia, oppure tubercolosi.
L’epidemia si protrasse nel regno ittita per venti anni, ma allora non erano disponibili né strumenti diagnostici, né terapie in grado di prevenire o curare gravi patologie. Sopravvivevano soltanto gli individui più resistenti. Furono colpiti anche animali, quali asini e cavalli, presenti in gran numero negli eserciti, e che potrebbero essere stati i diffusori della malattia, come i pipistrelli cinesi per il Covid; le scarse condizioni igieniche degli accampamenti militari, unitamente a un regime di vita necessariamente comunitario hanno certamente contribuito a una rapida diffusione della pandemia.
Oggi sappiamo che in casi come questi il distanziamento sociale è uno strumento di difesa fondamentale. Amenhotep IV si dovette porre il problema quando valutò se celebrare o no a Tell el Amarna la Festa del suo dodicesimo anno di regno. Ma questo tipo di celebrazione annuale era uno strumento indispensabile in tutto il mondo antico per riaffermare e consolidare il potere regio, e dunque la festa si svolse in maniera sontuosa, con la partecipazione di tutta la corte e di molte persone. Non è un caso che poco tempo dopo Amenhotep IV morì, e morirono molti dei suoi familiari. Una situazione analoga si verificò anche nel regno ittita, quando il re Mursili II, in un periodo già avanzato del suo regno, e dunque quando l’epidemia era attiva da tempo, decise di celebrare la Festa di Autunno: se non l’avesse fatto, le divinità si sarebbero adirate con lui e magari avrebbero afflitto il regno ittita con ulteriori disgrazie. Subito dopo si verificò una nuova ondata dell’epidemia, con molte migliaia di vittime. Questo ebbe una ricaduta economica disastrosa, perché significava restare senza mano d’opera per le attività agricole e pastorali, ma anche senza soldati per l’esercito.
L’esperienza maturata nei terribili mesi del Covid 19 ci permette di comprendere meglio aspetti della «pandemia egiziana» che le fonti antiche non esplicitano. Ma, al tempo stesso, la conoscenza del passato può essere uno strumento utile anche per costruire meglio il nostro futuro.