il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2020
Putin visto da Obama
Si sono incontrati per la prima volta nel luglio del 2009 poco lontano da Mosca. In una dacha, casa di campagna, lo accolse il presidente russo, all’epoca solo primo ministro. Vladimir Putin magari sembra anche un “duro”, ma è “fisicamente insignificante”: è “piccolo e compatto, come un lottatore wrestler”. Si può leggere solo oggi quello che l’ex presidente americano Barack Obama pensò quel giorno di oltre dieci anni fa incontrando il leader della Federazione russa, un uomo che è a capo di un governo che assomiglia molto a “un sindacato criminale” e ha costruito un Paese “di cui forse avere paura, ma che non è da non emulare”, se a qualcuno venisse l’idea di trarre “ispirazione”.
Del capo di Stato slavo che va a cavallo a dorso nudo e coglie ogni opportunità per essere fotografato “con la meticolosità di un teenager su Instagram”, si leggono alcuni passaggi nel mastodontico tomo A promised Land (Una terra promessa), dato alle stampe il 17 novembre scorso dal 44esimo presidente degli Stati Uniti, non più in carica dal 2017.
In quel primo incontro d’estate del 2009 Putin ad Obama parlò a lungo: gli riservò “un animato monologo, che sembrava infinito”. Gli argomenti si somigliavano tutti: la sbagliata invasione americana dell’Iraq, l’erroneo allargamento della Nato, una conseguente lunga lista di errori commessi dagli Usa nelle ultime decadi. Inoltre, Putin “sembrava avesse deciso deliberatamente di far fare brutta figura al suo successore”, un segno, secondo Obama, della sua pianificazione “di riprendere le redini” della presidenza russa.
Dopo la prima dacha, Obama fu invitato, qualche mese dopo, nell’agosto dello stesso anno, in una seconda casa di campagna da un uomo con cui condivideva gli studi in legge: il presidente russo dell’epoca, Dimitry Medvedev, “un benestante che ha tratto profitto dalle privatizzazioni degli anni ’90, quando tutti si impoverivano”, dopo il crollo dell’Urss. Ma i due non parlarono di politica al tavolo all’ora di cena: fu “una sera ordinaria, che sarebbe potuta accadere in qualsiasi periferia americana”. Medvedev manteneva, scrive Obama, “un distacco ironico, come se volesse far sapere che non credeva a tutto quello che dicevo”. Due anni dopo, a settembre 2011, annunciò che non si sarebbe ricandidato per le presidenziali vinte poi da Putin, del cui nuovo governo divenne premier, per essere improvvisamente e bruscamente licenziato nel gennaio 2020.
Nel suo mandato durato dal 2009 al 2017, l’ex senatore dell’Illinois non ha avuto mai buone relazioni con l’ex capo del Kgb russo e, una volta ottenuta la carica alla Casa Bianca, Obama criticò quasi subito il suo predecessore, George W. Bush, per non aver fermato l’incursione dei soldati russi in Georgia nel 2008. Putin accusò Obama nel 2011, quando puntò il dito contro l’amministrazione a stelle e strisce per l’appoggio alle proteste di piazza a Mosca. Nel 2014, dopo la rivoluzione di Maidan e l’annessione della Crimea, Obama chiuse le porte del G8 a Putin e diede avvio alla pioggia di sanzioni Usa che ancora oggi bagna l’economia russa.
Una terra promessa è un labirinto d’inchiostro che conduce tra corridoi del potere, incontri segreti e stanze dei bottoni e l’Atlanticha definito un esercizio di “realismo ironico” per lo sguardo impietoso e sarcastico che ha divertito molti. Il libro appena pubblicato si interrompe nell’anno 2011, ma blindate tra alcune delle 768 pagine, rimangono le memorie di Obama che al Cremlino non hanno ancora commentato. In fondo, questo, era solo il primo volume.