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 2020  novembre 22 Domenica calendario

Che cos’è il metodo Distant reading

Semplificando un po’, il metodo che va sotto il nome di Distant reading consiste nello studio assistito dal computer di vasti insiemi di testi accomunati da caratteri omogenei (ad esempio l’appartenenza allo stesso genere letterario, o alla stessa categoria merceologico-editoriale), per cui si rinuncia ad approfondire gli elementi individuali ricavabili dalla lettura ravvicinata, sistematica e puntuale e attraverso lo studio automatizzato di caratteri generali come la struttura dei titoli o quella delle trame si osserva invece la conformazione generale della produzione letteraria, la sua circolazione e le possibili ragioni della sua diffusione. Lo stesso metodo propone forme di lettura automatica rivolta anche a singole opere o a piccoli insiemi di testi, cercando informazioni che, si suppone, sfuggirebbero normalmente alla loro lettura, anche attenta.
Il canone letterario moderno, spiega Franco Moretti nel libro che riassume i principi fondamentali del Distant reading, ora tradotto in italiano, è la punta emergente d’un iceberg di prodotti editoriali la cui quantità sterminata – specie nel campo della letteratura di consumo, di quella di genere o della paraletteratura, su cui Moretti lavora con particolare impegno – e la cui diffusione globale rendono non solo praticamente impossibile, ma anche poco interessante un approccio analitico e ravvicinato. La sociologia o demografia del romanzo che di qui discende è la parte più persuasiva del lavoro di Moretti, ma anche – forse – la meno specificamente letteraria. Trattando i libri alla stregua, di fatto, di qualsiasi altro articolo di consumo, Moretti perviene a scoprire laboriosamente l’ovvio, cioè che l’industrializzazione e poi la globalizzazione del romanzo, in particolare (ma è davvero tutta qui laletteratura del nuovo millennio?) obbediscono a dinamiche di mercato molto simili a quelle valide per altri prodotti di consumo: i film ad esempio. Ma qualcosa di analogo varrà probabilmente anche per i vestiti e le bevande gassate. Accertarlo richiede un’accumulazione di dati e un dispiego di assunti teorici degni, forse, di miglior causa.
Avvicinando lo specifico letterario, la teoria morettiana sembra perdere fatalmente d’efficacia. Moretti ambisce alla fondazione di una nuovastilistica quantitativabasata sull’esame delle strutture letterarie ancora una volta automatizzato e fatalmente visualizzato, cioè reso da suggestive rappresentazioni grafiche simili a quelle che oggi van per la maggiore nell’informatica, nell’economia, nella comunicazione e nel bric-à-brac dell’industria 4.0. A tali grafici è affidata l’illustrazione dei meccanismi di funzionamento delle opere letterarie ottenuta, ad esempio, attraverso l’analisi automatica delle interazioni tra i personaggi in un dramma (chi parla con chi? Quando e quanto? Cantami, o software…). È dove tenta di entrare dentro la struttura formale delle opere che il metodo mostra un limite pericoloso. Se le indagini della critica stilistica novecentesca si basavano sulla paziente raccoltaa mano e a occhio di dati a servizio d’interpretazioni spesso esposte a quello che gli psicologi chiamano bias di conferma (per cui i data finiscono per confermare di solito ipotesi già formulate a monte, anziché costruirle, orientarle o modificarle significativamente), la stilistica quantitativache affida la raccolta dei dati all’analisi di una macchina, e perciò può raccoglierne velocemente quantità ben maggiori, è ancor più facile preda della stessa insidia. Ricavare automaticamente da una certa distanza dati che prima dovevano essere faticosamente raccolti da vicinorende facilissimo disporre con un clic degli elementi che – più o meno consapevolmente – si vuole trovare. Nella critica letteraria fatta col computer e senza leggere, più che in qualsiasi altro ambito, i dati rischiano insomma di non essere dati, ma di essere presi. E i dati inattesi che il critico quantitativo commenta con apparente sorpresa si rivelano, in fin dei conti, come raffinati espedienti argomentativi. Il miraggio di una critica che diviene più scientifica perché più oggettiva, in quanto delegata – nella raccolta dei materiali – all’automatismo di un algoritmo, ripropone insomma uno dei limiti più noti non solo della cultura letteraria, ma della società e del mondo attuali, sempre pronti ad affidarsi alla supposta imparzialità dei data. D’altra parte, distant reading e studio quantitativo dello stile letterario traducono uno sforzo d’allineamento culturale rispetto ai dettami egemonici di quella che, con neologismo malformato, in America si chiama algocracy. Una tendenza dominante non solo nell’economia e nella società, nel commercio e nella finanza, ma anche nelle politiche culturali, che si esprime nella richiesta di più laboratori e meno biblioteche, di più dati e, forse, anche di meno lettori attenti.