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 2020  novembre 22 Domenica calendario

Intervista a Ferruccio Ferragamo

Ferruccio Ferragamo dal 1963 ha dedicato la sua carriera all’azienda di famiglia e dal 2018 è Presidente Esecutivo del CdA della Salvatore Ferragamo S.p.A.
Congratulazioni per la sua recente nomina a Cavaliere del Lavoro. Ne è orgoglioso?
«Certo, ma ho chiesto se il premio poteva essere consegnato alla mia meravigliosa famiglia. Tutto quello che abbiamo realizzato è merito loro. Papà Salvatore ha avviato l’attività, e mia madre Wanda ha avuto il coraggio di proseguirla senza alcuna preparazione».
Suo padre aveva solo 62 anni quando mancò nel 1960. Era famoso per le scarpe che realizzava per le star di Hollywood. Lei come ha trasformato un calzaturificio in una casa di moda?
«Il modo di lavorare di mio padre era unico. Guardava una donna negli occhi e capiva il suo carattere, le teneva i piedi, ne capiva l’anatomia e poi disegnava scarpe solo per lei. Nessuno avrebbe potuto sostituirlo e così la mamma ha pensato che forse avremmo potuto diversificare l’attività. Siamo sei figli, e siamo entrati in azienda molto presto. Nessuno di noi ha una laurea perché a 18 anni eravamo già al lavoro, e ognuno di noi era assegnato a un’area. Fiamma ha ampliato l’attività alle scarpe di serie. Giovanna ha fatto il prêt-à-porter. Fulvia ha realizzato accessori in seta. Leonardo ha aperto il mercato in Cina nel 1994. E Massimo ha rilevato il mercato americano».
Ferragamo ha una storia speciale negli States?
«Immigrato in America a 16 anni, a Hollywood mio padre ha subito aperto un piccolo negozio. Star del cinema come Marilyn Monroe, Joan Crawford, Gloria Swanson e Audrey Hepburn hanno notato le sue scarpe molto particolari in vetrina e l’attività è decollata».
Quanti negozi avete in tutto?
«Siamo in 100 Paesi con circa 400 negozi gestiti direttamente, molti in Cina e Corea. Ne abbiamo altri 250 in franchising, anche in mercati complessi come India e Russia».
Servono le piattaforme Internet in questa pandemia?
«Storicamente non eravamo forti nell’e-commerce, che è il futuro. La nostra filosofia è intrattenere. Come diceva papà: "Trattare la cliente come una principessa e la principessa come una regina". Ma stiamo cercando di far crescere quel segmento di attività. Anche se è importante che ci sia una showroom dove i clienti possano toccare, provare, guardarsi allo specchio».
In Paesi dove il virus è più sotto controllo, si è già tornati a fare acquisti nei negozi?
«Sì, soprattutto in Cina. Quella parte del mondo per noi ha un fatturato più alto quest’anno rispetto al 2019, prima del virus. Un risultato che compensa un po’, non del tutto, i mercati dove i negozi sono chiusi».
Quali prodotti guidano la sua attività oggi?
«Le scarpe sono la spina dorsale del business, quelle da uomo vanno abbastanza bene e pure le cinture. Ferragamo più che moda è uno stile di vita. La moda passa, lo stile resta».
Che stile ha Ferragamo?
«Uno stile che non è estremo. Non vogliamo sopraffare la personalità del cliente».
Sta sviluppando la sostenibilità?
«Abbiamo una mostra sul tema nel nostro museo a Palazzo Spini Feroni. È nostro dovere dedicare tutta la nostra ricerca a prodotti sempre più sostenibili. Questo è ciò che deciderà il futuro dell’azienda».
Perché, nel 1927, suo padre ha scelto la sede a Firenze?
«I dintorni di Firenze hanno ispirato la sua creatività. All’epoca era una delle città più internazionali d’Italia, con ottimi artigiani».
Perché ha acquistato dal Duca d’Aosta la tenuta Il Borro, un tempo dei Medici?
«L’ho comprato 28 anni fa per diversificare. Il Borro era di circa 700 acri quando l’ho acquistato, con un borgo medievale da restaurare al centro della proprietà. Ora è completamente sostenibile, produciamo più energia di quanta ne utilizziamo e siamo orgogliosi che non ci sia inquinamento ambientale. Il villaggio dispone di 38 alloggi che fanno parte della catena Relais & Châteaux».
Quanto rappresenta la cantina de Il Borro in azienda?
«Il vino rappresenta un terzo del fatturato de Il Borro, abbiamo dodici etichette. Il secondo terzo è l’ospitalità e l’ultimo terzo è la ristorazione. Abbiamo due ristoranti, l’Osteria del Borro e Il Borro Tuscan Bistro, che si trova anche a Firenze; e c’è un franchising a Dubai che è stato premiato come migliore ristorante nel 2019. Il prossimo anno apriremo un nuovo franchising a Londra».
È difficile mantenere la pace in una famiglia così numerosa?
«Dobbiamo assicurarci che l’amore per l’azienda sia sempre predominante e che le regole siano seguite. Non dobbiamo usare l’azienda come rifugio per chi non ha alternative».
Ha mai pensato di vendere a un gruppo straniero?
«Sono contrario alla cessione dell’azienda, ma non voglio neppure azionisti prigionieri della società. Se qualcuno vuole andarsene, lo capisco. Non abbiamo tutti gli stessi obiettivi. Possiamo sempre trovare soluzioni, sia perché siamo un’azienda quotata sia perché la famiglia vuole restare forte».