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 2020  novembre 22 Domenica calendario

Luis Enrique, l’assente che ha sempre ragione

Risolto il dilemma di Nanni Moretti («Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente?»). La seconda che ha detto. Fenomenologia dell’assente che ha sempre ragione, ovvero: Luis Enrique. Se n’è andato lui e il Barcellona non solo non ha più conquistato un triplete o una Champions, ma anziché infliggere una leggendaria remuntada (6 a 1 al Psg) ne ha subite due (Roma e Liverpool). Quanto alla Spagna, via lui vinceva sì, ma senza furia, tornato lui ha travolto la Germania per 6 a 0. Solo la propensione giornalistica al lato oscuro ha fatto raccontare la corrida di Siviglia come la morte del toro tedesco, trascurando il fulgore del matador tranquillo. È il destino di Luis Enrique, il sottovalutato, l’uomo che se ne va sempre un po’ prima spegnendo la luce. Nel buio stiamo qui a compilare liste di allenatori, i più grandi i più vincenti e, da Ancelotti a Zidane, mai uno che si fermi a metà, alla L, a Luis Enrique.
Ci sono molti motivi per ammirarlo. Il primo è che non ha spettacolarizzato il proprio dolore. Ha annunciato la malattia della figlia solo mentre lasciava la panchina e tornando ne ha ricordato la fine con un tweet senza parole: una stellina gialla. In uno splendido film australiano chiamato Lantana la moglie psicologa dice al marito disperato: «Anche io ho perso nostra figlia» e lui replica: «Sì, ma ci hai scritto un libro di successo». Lo spettacolo Luis Enrique lo riserva al gioco. Il suo Barcellona ebbe le stesse percentuali di vittorie di quello di Guardiola, ma evolvendosi. Il suo marchio è il centromediano a protezione dei due centrali (a Roma tentò di forgiare De Rossi) con i terzini a tutta fascia, come due uomini in più (quando non sono Rosi e Jose Angel). Ha idee personali che sbattono contro le personalità. Ci mise un po’ per trovare la sintonia con Messi, ma al primo anno vinsero tutto. Con Totti non ci sono mai arrivati. Il meglio lo dà quando può fare la rivoluzione senza ostacoli (presidenti, stampa, tifosi), come prendendo la Spagna dopo la disfatta mondiale e perfino riprendendola dal suo ex vice Moreno. Dieci nuovi convocati, nessun blocco, né Barcellona né Real, molti giovani. Tanto pressing, versatilità nei ruoli e quel pizzico di follia che ne ha fatto le sfortune: ogni tanto, un bel turnover incomprensibile. Molti hanno notato le somiglianze con il percorso di Roberto Mancini.
Sarebbe giusto si incontrassero nella finale di Nations League. E poi ancora all’Europeo. Oltre, difficile immaginare perché Luis Enrique ha il dono di sparire, lasciando i soldi sul tavolo, quando pensa di aver incontrato il proprio limite. Con tutti quelli che si sentono infiniti, una bella rarità.