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 2020  novembre 22 Domenica calendario

Intervista a Massimo Ranieri

Per il ritorno in tv non ha voluto uno studio ma il Teatro Sistina a Roma, anche se sarà vuoto, con qualche poltrona occupata dai danzatori del corpo di ballo.
Massimo Ranieri debutta giovedì su Rai 3 con Qui e adesso, show tra palco e camerino in cui, come sempre, non si risparmia: balla, canta, recita e, come dice lui, incontra gli amici (tra gli altri Morandi, De Gregori, Gianna Nannini, Albano). Presenze comiche fisse, The Jackal, Maria Di Biase oltre al duo canoro Ebbanesis. Venerdì uscirà il nuovo disco, che s’intitola come lo spettacolo, Qui e adesso: diciassette brani, è frutto della collaborazione con Gino Vannelli. «L’ho sempre ammirato. Ho incontrato il suo manager italiano e gli ho parlato: il disco è nato così». A 69 anni Ranieri è sempre, o forse ancora di più, innamorato del suo mestiere «che è il più bello del mondo».
“Qui e adesso”, titolo significativo: il periodo è complesso. Con che spirito torna in scena?
«Con lo spirito giusto, quello del vincitore perché la vita continua e il pubblico ha bisogno di vedere artisti che vanno in scena e lavorano. Poi, posso dirlo: diamo un attimo di serenità. Continuiamo a combattere e passerà. Come dice Eduardo De Filippo “Ha da passa’ ‘a nuttata».
Questo varietà è il seguito ideale di “Sogno e son desto”?
«No, ma alcune cose possono ricordarlo. In Sogno e son desto non avevamo il camerino dove accolgo gli ospiti, amici che conosco da una vita e con cui non ho mai occasione di bere un caffè. Non ci sarà “signori e signori ecco a voi”, ma “signore e signori eccoci qua”, una specie di confessionale dove si parla del nostro passato, del presente e si tenta di parlare del futuro, che mi rendo conto, è nebuloso».
Non ha scelto uno studio televisivo ma il Sistina. I teatri sono chiusi: che emozione ha provato?
«Ho scelto il teatro per dimostrare che è vivo. Per me, in questo momento, fare uno spettacolo al Sistina è il segno della rinascita.
Spero che sia di buon augurio».
Guarda la tv?
«Ne guardo tanta. Ma a un certo punto non ce la fai più, le notizie sono sempre le stesse, troppa ansia. Allora mi butto sulla cosa che amo di più, il cinema, guardo i film.
Anche le boiate: fanno bene alla salute e non ti fanno pensare».
Come vede la sua Napoli chiusa per Covid?
«Siamo stati i più bravi otto mesi fa, ma adesso abbiamo allentato la presa e ci siamo fatti fregare, Napoli soffre come tutte le città, e questo fa molto male a noi e all’Italia. Ma lo dicevo prima: passerà, bisogna crederci».
Il segreto del legame col pubblico?
«Se lo sapessi non lo direi, ma forse non va chiesto a me. Una cosa su tutte è l’abnegazione per questo fantastico mestiere, perché è un mestiere e non un lavoro: lo faccio da 55 anni, lo amo e continua ad amarmi. Forse il segreto è il pubblico che continua a seguirmi».
Popolare da sempre: le hanno mai chiesto di candidarsi in politica?
«Mai, hanno capito che non sono fatto per la politica. Per quella ci
sono i politici, è un altro mestiere».
Il rapporto col tempo che passa?
«Lo sa che non me ne rendo conto?
Stando in giro il tempo passa e non te ne accorgi, lo sento quando ritorno a casa, da solo. Accidenti, sono passati dieci anni. Perché sono stati meravigliosi, con la gente: mi commuovono i regalini in camerino, caramelle, cioccolatini, qualche cravatta. Sono grato. In quei pensieri c’è vero affetto».
A chi deve dire grazie?
«Sicuramente ai miei genitori e alle persone che in questi lunghi anni mi hanno preso sotto la loro ala protettiva. Li nomino sempre, sono sicuro che da lassù ancora mi proteggono: Strehler, Patroni Griffi, Visconti, Zeffirelli, Anna Magnani. Mi hanno cresciuto, mi hanno fatto essere prima un ragazzo, poi un uomo, poi un uomo di teatro e di cinema».
L’artista che ha lasciato il segno?
«Strehler. E citando lui non offendo nessuno, neanche Patroni Griffi perché fu proprio lui a dirmi che un giorno avrei dovuto lavorare con Strehler, un gigante. Mi ha plasmato pian piano come la creta, grazie a lui sono uscito con la carta identità con scritto “attore”».
Ha rimpianti?
«Chi fa il mio mestiere li ha, è inevitabile. Il più grande è non aver avuto una mia famiglia, anche se ne ho una molto numerosa grazie ai miei 21 nipoti e 22 pronipoti, fratelli e sorelle. È il grande prezzo che paga chi, come me, affronta questo lavoro con devozione perché mi ha dato e continua a darmi da mangiare».
La canzone a cui è più legato?
« Vent’anni. Perché avevo vent’anni».