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 2020  novembre 22 Domenica calendario

I fuggiaschi di gesso di Pompei

I due, un padrone e il suo schiavo, fuggivano disperatamente insieme, da una Pompei diventata un inferno: cercavano un’impossibile salvezza. La morte quasi istantanea (per l’intollerabile calore, è la diagnosi del 2020) li ha colti durante l’eruzione del Vesuvio del 24 ottobre del 79 dopo Cristo, alle 9 del mattino. L’area archeologica non smette di produrre tesori come questi due uomini riemersi dagli scavi di Civita Giuliana, nella villa suburbana del Sauro Bardato, 700 metri a nord ovest di Pompei, nella stessa zona in cui vennero recuperati nel 2017 i tre ammiratissimi cavalli con le loro bardature. La villa aveva una grande terrazza affacciata sul golfo di Napoli e su Capri. Nel criptoportico coperto dalla terrazza sono state ritrovate le impronte lasciate, sotto al materiale lavico, da un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1.56 metri, e da un uomo tra i 30 e i 40 anni, alto 1.62. Il primo dovrebbe essere uno schiavo: la prima analisi delle impronte del corpo ha rivelato alcuni schiacciamenti alle vertebre, compatibili con lavori molti pesanti. L’uomo più maturo aveva un mantello di lana, fermato sulla spalla sinistra, e una tunica. La ricchezza degli indumenti confermerebbe la sua appartenenza a una buona classe sociale.
Le tecniche attuali hanno permesso di ottenere dal gesso colato nei vuoti dettagli impensabili fino a qualche anno fa: le trame e le pieghe dei tessuti, la loro qualità. Sono stati recuperati molti frammenti ossei: i denti, le ossa del cranio del ragazzo e dell’uomo che ha lasciato le impronte del mento, delle labbra, del naso, delle sue ginocchia piegate. Sono riaffiorate anche le vene delle mani. Ricostruiti tutti gli estremi movimenti prima della morte: lo schiavo ha il braccio sinistro piegato con la mano sull’addome e il braccio destro sul petto: un estremo tentativo di protezione? Accanto alle due figure, frammenti di intonaco bianco trascinato dalla nube di cenere e di lapilli: provenivano dal crollo del piano superiore. La tecnica è quella genialmente ideata dall’archeologo Giuseppe Fiorelli intorno al 1863: una colata di gesso nei vuoti prodotti dalla decomposizione dei corpi sotto la cenere. Il gesso di oggi, più raffinato, molto idroscopico, è in grado di registrare quei dettagli minimi che hanno emozionato gli stessi addetti agli scavi.
Il direttore del Parco Archeologico di Pompei, e neodirettore generale dei Musei del ministero, Massimo Osanna, ricorda l’importanza degli scavi di Civita Giuliana «anche perché condotti insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini». Il ministro per i Beni culturali, Dario Franceschini, sottolinea che «Pompei è importante nel mondo non solo per il grandissimo numero di turisti ma perché è un luogo incredibile di ricerca. Sono ancora venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologi di oggi e del futuro».