La Lettura, 22 novembre 2020
QQAN30 I 60 anni di Psycho
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Fu dalla sera del 24 novembre 1960 che le signore iniziarono ad avere paura a entrare nella doccia. Per forza. Era nei cinema italiani da quel giorno il capolavoro di Alfred Hitchcock, allora 61 anni, Psycho, che in Italia perse la «H» (Psyco) ma fu un clamoroso successo – anche se i primi della stagione furono Ben Hur e Spartacus — consacrando la fama del maestro, che non ebbe mai l’Oscar ma era stato innalzato nell’alto dei cieli dalla nouvelle vague.
Negli Usa – il film era uscito il 16 giugno – Hitchcock si apprestava ad andare in banca a incassare, avendo anticipato gran parte degli 800 mila dollari di budget (12 milioni di oggi, con il contributo della riluttante Paramount) il 60% dei 50 milioni di dollari incassati alzando il comune senso del terrore. L’unico thriller in cui la protagonista Marion Crane, Janet Leigh, muore dopo soli 45 minuti, uccisa dal più famoso assassinio del cinema.
Nel trailer Usa (6’ 35”) il regista ci porta in visita guidata nelle location del film al Bates Motel (titolo della serie che verrà per spiegare che cos’accadde prima) e apre la porta della mitica casa gotico-californiana per anni meta di pellegrinaggi e che si ispirava a House by the Railroad di Edward Hopper, un teschio che si staglia nel cielo.
Sapete tutti quanto sangue scorre nella stanza 1 del motel (una notte lì, con Lexotan, diventò il premio di un concorso) e di quali tentazioni soffre la segretaria Marion mentre fugge da Phoenix, cittadina dell’Arizona che ha appena tradito Trump, un venerdì 11 dicembre con 40 mila dollari in borsetta. È tutto un desolato, cupo, gretto paesaggio di affaristi, sceriffi, poliziotti, riciclatori di auto e amanti senza scrupoli mentre la donna sta al volante per 1.300 chilometri, battuta dalla pioggia e accusata senza appello dall’orchestra di Bernard Herrmann (solo archi per ragioni di budget, se mai poi interviene l’Eroica di Beethoven). Sappiamo ormai che miss Leigh, coniugata con Tony Curtis, 33 anni, per soli 25 mila dollari si farà accoltellare in doccia in 45 secondi (78 posizioni della macchina da presa, 52 tagli di montaggio) senza che mai appaia un lembo di pelle o una goccia di sangue. Finisce anche qui col gorgo della vasca. Colpevole il ventisettenne nevrotico divo gay (in incognito) Anthony Perkins, che per questo super Edipo show riscosse 40 mila dollari ma in Norman rimase impigliato e impagliato per sempre.
Un libro istruttivo di David Thomson Psycho. Come Hitchcock insegnò all’America ad amare l’omicidio racconta ora tutto lo scibile su questo film che scavalca il tempo, partendo da un romanzo di Robert Bloch sul vero serial killer Ed Gein, catturato nel 1957. La storia piaceva a Hitch solo per la scena in doccia, la più violenta girata all’epoca di quel codice Hays, quello che poneva ipocriti limiti ai baci, al letto a due piazze, agli omicidi, e obbligava Doris Day e Rock Hudson a baciarsi nello schermo diviso in due.
Perché Hitchcock attaccava Hollywood? Era sì osannato da Truffaut, ma reduce da capolavori non esplosi al box office, vedi i 4,1 milioni di Vertigo (La donna che visse due volte), oggi considerato il film più bello del mondo, e aveva bisogno del colpo grosso. La sua America, quella dell’uomo medio eroico, di James Stewart e Cary Grant, era cambiata; ora c’era il rock di Elvis e il più fragile Brando e il latte materno s’era inacidito. C’era nel Paese una palpabile solitudine, inizio di un decennio orribile (Marilyn, Kennedy, Luther King...) ed è questa la vera star di Psycho. Hitch raduna la troupe low budget dei telefilm amati anche in Italia dal 28 gennaio 1959, quelli col profilo e prolusione di Alfred (Carletto Romano lo doppia) dopo la sigla con le note della Marcia funebre per una marionetta di Gounod. Si trattava, da parte del regista inglese, di un attacco micidiale tipo Pearl Harbor alla tranquillità hollywoodiana: iniziava facendo vedere Leigh in reggiseno bianco e John Gavin a torso nudo che si alzano dai letti spiegazzati, in evidente mood postcoitale; poi mostra Marion che butta un foglietto nel water col primo gorgo dell’apparecchio igienico; infine quella doccia che ha fatto eleggere Norman a secondo miglior cattivo del cinema dopo Hannibal Lecter. La scena fu girata nel tepore natalizio dal 17 al 23 dicembre 1959, con Janet nuda (in realtà portava un body di fustagno color carne ed era la controfigura di «Playboy» Marli Renfro) mentre il killer era la somma di tre stuntman, di cui una nana. Furono duri i pomeriggi in censura con il maestro di L’uomo che sapeva troppo e Intrigo internazionale che difendeva i suoi colpevoli fotogrammi mentre la Paramount era sempre più sfiduciata e il perbenista Walt Disney si disse disgustato.
Come è noto, Psycho è oggi un classico, non ha perso nulla del suo originario spleen freudiano (nel finale Perkins guarda in macchina e s’identifica con mamma) e delle nevrosi del regista allevato dai gesuiti. Exploit sessuali infelici raggruppati in occhi tristi, solitari, desolati, tormentati (il voyeurismo è la chiave del cinema di sir Alfred), come quando Perkins, che potrebbe pure essere Orfeo o Cupido, sposta il quadro di Susanna e i guardoni di Artemisia Gentileschi per spiare Janet, dopo aver mandato da lì all’eternità la famosa battuta: «Il miglior amico di un ragazzo è la propria madre».
Nel geniale saggio di Guido Vitiello Una visita al Bates Motel (Adelphi, 2019) si offre una ricognizione degli indizi culturali nelle stanze dei delitti, museo dell’eros metafisico dove tra i molti specchi si scoprono metaforici e infernali cicli mitologici, Amore e Psiche del Canova (Hitch disse agli inizi che il film si intitolava Psyche), Orfeo ed Euridice, Demetra e Persefone, senza contare il Cupido che accoglie lo sfortunato detective.
Sappiamo che, tra critiche non esaltanti (alcuni aggiunsero stellette in ritardo), ci furono tre sequel, sempre più ridicoli: un film Hitch sul diario di lavorazione; nel 1998 il remake shot by shot di Gus Van Sant, impossibile tentativo di fare lo stesso film; e Psycosissimo con Franchi e Ingrassia che portò a casa nel 1961 senza pretese 390 milioni di allora. Oggi sui social il record di condivisioni è della foto di Trump che osserva la terrorizzata Janet Leigh in doccia.