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 2020  novembre 22 Domenica calendario

6QQAN40 Su "L’uomo con la vestaglia rossa" di Julian Barnes (Einaudi)

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Nel 1908, dopo un’agonia vissuta dalla nazione con una partecipazione al limite dell’isteria, le spoglie di Émile Zola furono trasportate al Pantheon. Erano presenti al funerale, tra gli altri, il primo ministro Georges Clémenceau, la vedova Zola e il capitano Alfred Dreyfus, il cui onore Zola aveva vendicato nel suo incendiario J’accuse. La cerimonia si era svolta in modo solenne e senza incidenti quando, alla fine del tributo musicale, il giornalista antisemita Leon Grégori aveva estratto una pistola e sparato due volte a Dreyfus, colpendolo alla mano e al braccio. Per fortuna del disgraziato capitano sul luogo era presente il suo medico. Quel medico dreyfusardo si chiamava Samuel-Jean Pozzi. Scrive Julian Barnes, nell’erudito e sottilmente ironico L’uomo con la vestaglia rossa, tradotto da Daniela Fargione: «Quando Grégori fu portato in tribunale, la giustizia francese mostrò il meglio della sua francesità. L’avvocato di Grégori affermò che in realtà il suo cliente non aveva sparato a Dreyfus l’uomo, bensì al “concetto di dreyfusismo”».
Ineffabili francesi. La corte d’assise della Senna accolse l’argomentazione come se davvero avesse fondamento giuridico e Grégori fu assolto.

In verità il soggetto di Barnes, in questo libro che è un’escursione molto personale nel campo della saggistica, non è, come il titolo sembra suggerire, una biografia dello sgargiante gentiluomo in vestaglia rossa ritratto da John Singer Sargent in Dr. Pozzi at Home (1881). Ma è la biografia di un’epoca attraverso il (tenue) filo conduttore di uno dei suoi personaggi. Parliamo della Belle Époque decadente e narcisista della Recherche proustiana e di quella isterica e violenta dell’affaire Dreyfus: un caleidoscopio di scandali, passioni forti, maldicenze, sfide a duello, romanzi a chiave, sontuose opere d’arte e, naturalmente, anche verdetti di una frivolezza criminale come quello del processo a Grégori.
Barnes è un grande scrittore soggetto ad alti e bassi che nell’arco dei suoi 74 anni ha affrontato i generi più diversi. Molti lo ricordano come il narratore struggente del Tempo di una fine; o lo scrittore capace di farsi critico d’arte in modo molto personale; o come il memorialista che ha affrontato la morte dell’amatissima moglie passando per un argomento astruso come la storia della fotografia aerea. La sua cifra è quella di un autore malinconico, che mette spesso al centro della propria narrativa un uomo timido costretto a interrogarsi su ciò che lo tiene legato a una donna infedele, del cui carisma è schiavo. Non in questo caso. Stavolta Barnes usa lo scetticismo dello storico e la disinvoltura del professionista navigato per comporre un’opera sinfonica che è un susseguirsi di fughe e divagazioni.
Comincia con il processo per omosessualità a Oscar Wilde e prosegue con le frequentazioni rarefatte di Henry James; rievoca i pettegolezzi dei fratelli Goncourt e infierisce sulla tossica frivolezza di Robert de Montesquiou; si sofferma sulla «ninfomania» di Sarah Bernhardt e benedice il colpo di spugna della Grande guerra, che si porta via tutte le suppellettili della Belle Époque.
Questi e altri elementi arredano la sua biografia di un uomo come Samuel Pozzi che ha il merito di stare «dalla parte giusta della Storia»: un ginecologo protestante di origine valtellinese, nascita francese e simpatie culturali anglosassoni, che sposa l’unica donna ricca di Parigi impermeabile al suo fascino, s’installa con la famiglia in un palazzo in place Vendôme e, mentre estrae pallottole dagli intestini perforati di duellanti di lusso, dirige un grande ospedale pubblico come il Broca di Parigi, mettendosi al servizio di coloro che hanno davvero più bisogno.
Pozzi è un soggetto ideale per il francofilo Barnes: un uomo d’azione e di passioni e un innovatore nel campo della chirurgia che ha introdotto gli antisettici in Francia (scandalizzando un collega americano lo rimbrottò: «I medici sono gentiluomini, e le mani dei gentiluomini sono pulite»). Ed è anche un seduttore realizzato. Descritto dalla principessa di Monaco come «vergognosamente bello», trovò il tempo di avere moltissime amanti, alcune tra le sue stesse pazienti, anche se «non risulta che nessuna si sia mai lamentata». Mentre collezionava Tiepolo e Gericault, Guardi e Corot, visitava le cliniche più innovative degli Stati Uniti e imparava a suturare le ferite senza lasciare antiestetiche cicatrici. Le sue pazienti ne ammiravano il tatto e la gentilezza, e gli erano grate per il pionieristico slancio con cui le liberò da cisti ovariche potenzialmente mostruose, come quella «grande come la testa di un ragazzo di quattordici anni» della sua amante Sarah Bernhardt. In una Francia divisa tra conservatori e cosmopoliti, era saldamente schierato nel secondo gruppo. Eppure sembra non avere avuto nemici. Persino quel serpente di Montesquiou, nelle sue memorie, ne parlava con ammirazione.

Con lo stile levigato che gli è proprio, Barnes scrive che la sua fascinazione per questo personaggio di cui non sapeva nulla in un’epoca di cui sapeva tanto, è nata a una mostra di Sargent alla National Gallery, davanti a quello spettacolare ritratto incentrato sul contrasto tra la virilità del soggetto e la vestaglia scarlatta che indossa. Ma è la frase di Pozzi «lo sciovinismo è una delle forme dell’ignoranza», trovata nell’introduzione a un suo trattato di ginecologia, ad avergli dato la motivazione decisiva. Disgustato dal «folle, masochistico distacco della Gran Bretagna dall’Unione Europea», Barnes confessa di aver cercato rifugio nel mondo di quel francese che traduceva Darwin e ordinava a Londra i tessuti per arredare la propria casa. Un uomo ateo, «razionale, scientifico, progressista, internazionale e costantemente avido di novità; che salutava ogni giorno nuovo con entusiasmo e curiosità; che riempì la vita di medicina, arte, libri, viaggi, società, politica e più sesso possibile».
Per arrivare a una conclusione che nell’Inghilterra isolazionista di oggi suona come una presa di posizione polemica: «Grazie al cielo non era senza difetti. E tuttavia sono pronto a presentarlo come una sorta di eroe».