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 2020  novembre 21 Sabato calendario

Biografia di Voltaire

Oggi tutte le persone libere rivolgono – o dovrebbero rivolgere – un commosso e riverente ricordo alla memoria di Francois-Marie Arouet, meglio conosciuto con il nome di Voltaire, nato a Parigi il 21 novembre 1694. La libertà e la tolleranza di cui oggi godiamo, almeno nella civiltà occidentale, hanno molti padri, da Erasmo a John Locke fino a Bertrand Russell. Ma la madre vera è lui, il nostro Voltaire, perché dedicò un’intera esistenza ad affermarne e celebrarne il valore.
Visse fino a 84 anni e per un po’ condusse una vita errabonda, perseguitato dalla censura e scomunicato dalla Chiesa. In Inghilterra ammirò il sistema parlamentare, e alla corte di Federico II di Prussia godette i favori di un despota illuminato. Fu abile negli investimenti finanziari e prudente nella loro gestione. Questo gli consentì un buen retiro nella tenuta di Ferney, opportunamente vicina al confine svizzero, da dove condusse la guerra più implacabile contro i pregiudizi del bigottismo persecutorio. Lo fece attraverso una produzione monumentale di trattati, libelli, epistole, racconti, dialoghi, poemetti, tragedie e altre opere, raccolte in oltre cinquanta volumi. Tra il 1817 e il 1829 ne uscirono dodici edizioni – chi scrive ha il privilegio di possederne una – e si vendettero più di tre milioni di libri. Possiamo aprirne una pagina a caso, non ne troveremo una di noiosa.

L’INESAURIBILE CURIOSITÀ
In effetti era una mente enciclopedica: leggeva tutto e si interessava di tutto, con l’inesauribile curiosità di uno filosofo che dubita della filosofia, di un ricercatore che confida cautamente nella scienza, e di un saggio che riconosce i limiti del nostro intelletto. Coltivava di persona il suo orto (suggerimento forse preso dall’Ecclesiaste) ma accanto agli attrezzi di giardiniere e alla ricca biblioteca, teneva un laboratorio dove si occupava di botanica, di chimica e persino di medicina, nonostante diffidasse dei medici e ancor più dei loro rimedi. È celebre l’episodio di Zadig, ferito all’occhio sinistro. Viene chiamato il famoso chirurgo Hermès che arriva con un corteo di assistenti, e conclude che il paziente resterà guercio. «Se fosse stato il destro aggiunge – l’avrei guarito, ma col sinistro non c’è niente da fare». Poi l’ascesso si risolve, ed Hermès scrive un trattato per dimostrare che la guarigione era impossibile. Un monito salutare per i virologi di oggi, in eterno e vociferante conflitto sulla pandemia.
La notorietà di Voltaire, risiede soprattutto nei suoi romanzi e nella sua crociata contro L’infame (il fanatismo religioso). È un giudizio riduttivo, perché fu anche drammaturgo efficace, storico erudito e filologo scrupoloso. Ma per ragioni di spazio ci limitiamo al suo romanzo più significativo e alla sua polemica più violenta. 
Candide è la risposta sarcastica, brutale e ragionata alla teodicea ottimistica di Leibniz, che il nostro sarebbe il migliore dei mondi possibili. Il 1 novembre 1755 un terremoto aveva semidistrutto Lisbona, affogando i poveri dei quartieri bassi che stavano a Messa, e risparmiando i ricchi che smaltivano nelle ville in collina le baldorie della notte precedente. Qualche prete parlò di punizione divina. Voltaire fumò di rabbia e di sdegno, e scatenò in alcune tra le più brillanti pagine della letteratura francese l’arsenale delle sue battute contro la stupidità umana. Il Gran Consiglio di Ginevra ordinò che il libro fosse bruciato.

LA RAGIONE
E veniamo alla crociata. Jean Calas era un mercante ugonotto il cui figlio si era impiccato. La polizia lo accusò dell’omicidio, e lo sottopose alla tortura: gli furono spezzate le gambe e inondati i polmoni di acqua. Il poveretto continuò a proclamarsi innocente. Il tribunale, sobillato dal clero, ne proclamò la condanna e il boia lo strangolò, dopo averlo tormentato per due ore, davanti a una folla tripudiante. Fu allora che Voltaire lanciò l’anatema che sarebbe diventato famoso: Ecrasez l’infame, Schiacciate l’infame. Non era tanto (o solo) la Chiesa di allora, ma il complesso di ignoranza e fanatismo che corrodeva le menti e i cuori. L’appello fu accolto. Da allora, pur con un processo lento e tragici intervalli, la ragione riprese a parlare e la speranza a rifiorire. 
Voltaire non era irreligioso. In età giovanile era stato agnostico: il suo scetticismo lo aveva indirizzato ad una critica corrosiva di ogni metafisica, e il suo istinto libertario gli aveva ispirato un anticlericalismo irriverente e quasi blasfemo. Per tutta la maturità oscillò tra un vago deismo e un teismo possibilista, e continuò a detestare i preti, o almeno quelli che perseguitavano gli eretici e ostacolavano la ricerca e il sapere. Ma riconobbe alcuni meriti culturali della Chiesa, la dedizione assistenziale delle suore e il rigore pedagogico dei gesuiti.
In età più tarda, ammise che era inconcepibile immaginare il mondo senza un suo intelligente Creatore, e concesse a sè stesso, e ai suoi lettori, la speranza di un Dio personale che in qualche modo premiasse i buoni e punisse i malvagi. Richiesto da Benjamin Franklin di impartire al diciassettenne nipote una laica benedizione, il venerabile maestro gli disse: Dio e libertà. Adore Dieu, et sois juste. I suoi amici philosophes considerarono con sospetta diffidenza questa conversione. Il Barone D’Holbach, ateo professo, ne fu disgustato, e lo definì un bigotto. Il rude Federico II secondo rincarò la dose: «Alla fine – disse – ci sputtanerà tutti quanti».

LA SEPOLTURA
Non andò proprio così. A 84 anni, dimenticatosi di morire, Voltaire assaporò il suo ultimo trionfo a Parigi, con la presentazione di Irène. Ma si strapazzò troppo, e cominciò a tossire sangue. Il famoso medico Tronchin lo visitò ripetutamente, e ne decretò la prossima fine. Il moribondo era turbato dall’idea di una sepoltura in terreno sconsacrato, e fece l’estremo tentativo di avvicinarsi alla Chiesa. L’abate Gaultier andò a trovarlo, e parve che i due si accordassero sull’esistenza di Dio e sull’immortalità dell’anima. Ma il dissenso sulla divinità di Gesù fu insanabile, e Voltaire morì il 30 maggio 1778, senza assoluzione.
Per evitare l’umiliazione di una fossa comune, il pio abate Mignot ricorse a uno stratagemma. Ne caricò la salma in carrozza e la condusse nella chiesa di Scellières, a Romilly, dove fu celebrata una messa e il corpo fu inumato. Non era finita. Nel 1791, in piena Rivoluzione, l’Assemblea Costituente ne decretò la tumulazione in quello che presto sarebbe diventato il Pantheon, tempio laico della Francia repubblicana. Ma nel 1814, durante la Restaurazione, un gruppo di fanatici vampiri prelevò le povere ossa e le gettò in una discarica. A conferma di quanto il nostro saggio sosteneva, che nulla quanto la stupidità umana dà l’idea dell’infinito.