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 2020  novembre 20 Venerdì calendario

Andrea Iannone non si dà pace. Intervista

«I miei sentimenti non sono cambiati. Ciò che porto dentro resta. L’amore per lo sport, la passione per la moto. Ma è dura accettare una punizione che so di non meritarmi. All’inizio non riuscivo a dormire: incubi, telefonate alle 4 di notte con l’avvocato. Mi sono allenato, continuo a farlo, anche se non posso esprimermi. Mai stato in forma come adesso mentre mi domando: perché tutto questo? Perché ho mangiato un pezzo di carne al ristorante?».
Andrea Iannone, capelli rasati, abito elegante, oscilla tra rabbia e razionalità davanti a un bivio che rivoluziona la sua vita. Quattro anni di squalifica. La sentenza emessa dal Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport) è un colpo mortale per il pilota Aprilia, MotoGp; una sofferenza per un uomo che non sa arrendersi. La pena: esorbitante. Il verdetto: cervellotico al limite dell’oscurità. Iannone, positivo al Drostanolone il 17 dicembre 2019, ha sempre dichiarato di aver ingerito lo steroide cenando tra la Malesia e Singapore. È stato condannato non per aver assunto volontariamente la sostanza dopante ma perché incapace di dimostrare che si trattò di una assunzione accidentale. Una presunzione di colpevolezza, dunque. Inappellabile?
«Potrei rivolgermi al Tribunale Civile svizzero ma è un procedimento costoso e forse inutile anche perché sento il bisogno di disintossicarmi da tutto questo. Ho speso centinaia di migliaia di euro. Per niente. Quale governo, quale ristorante può ammettere pubblicamente di trattare carne avariata? E poi in quei giorni mangiai carne anche in pista, utilizzando il catering del circuito. Sono diventato esperto come un chimico, ho capito, per esempio, che spesso vengono introdotte negli alimenti sostanze depistanti per mascherarne altre. Non solo. La sentenza, punto 158, dice che anche esponendo elementi più concreti, nulla sarebbe cambiato. Nemmeno l’esame del capello, negativo e ben più rilevante, è stato preso in considerazione».
Il Tas ha accolto l’appello della Wada (l’Agenzia mondiale antidoping) dopo il verdetto della Federazione Internazionale che aveva fissato a 18 mesi la squalifica. Perché questo accanimento?
«La Federazione ha ammesso che una contaminazione alimentare è possibile. L’appello Wada è scattato subito e ci ha costretti a fare altrettanto. Mi vengono in mente due cose. La prima: questa vicenda appare intimidatoria nei confronti della Federmoto e della Dorna, l’ente che gestisce il Motomondiale. Vorrei dare un consiglio ai piloti: state attenti a ciò che fate. La seconda: per Wada perdere l’appello avrebbe significato modificare i protocolli e le procedure antidoping, un costo esorbitante».
Sul suo sito dichiara: la gente crede che sia uno spaccone. La sua vita privata è esposta, chiacchierata. Una immagine lontana da quella dell’atleta modello può averla danneggiata?
«Le apparenze non contano, io resto me stesso sempre. Non ho mai mancato di rispetto a nessuno e i risultati sportivi sono lì da vedere (247 gare iridate, 13 vittorie, 10 pole, ndr), ottenuti sul campo. Voglio credere che la vita privata di una persona non possa essere giudicata, tantomeno in un procedimento del genere».
Ha 31 anni e una lunga squalifica. Esiste un piano B?
«Non ancora. Serve ripristinare una calma utile. Non sono in lutto perché di questi tempi c’è chi subisce ben di peggio. Ma ciò che è accaduto a me non lo si può capire dall’esterno. Correre in moto è la mia vita, un percorso nel quale ho investito tutto. Certo, ci sarà un piano B, un piano C, un piano D. Mi piacerebbe trasferire ciò che ho imparato ai giovani».
Primo pensiero quando si sveglia?
«Mi sembra di dover ricominciare dopo un infortunio. Come mi sento? Piegato, ammaccato ma non spezzato. Di una cosa sono certo: vado avanti, andrò avanti comunque. Nessuno può fermarmi».