Corriere della Sera, 20 novembre 2020
Torna il «Dizionario dei film» di Paolo Mereghetti
«Va bene», gli disse Cottard, «va bene, ma che cosa intendi per ritorno a una vita normale?».
«Nuovi film al cinema», disse Tarrou sorridendo.
La prima delle 6.680 pagine (più altre 2.164 di indici, filmografie di attori e registi, titoli originali delle opere) che compongono il Dizionario dei film 2021 di Paolo Mereghetti (Baldini+Castoldi) si apre con questa citazione della Peste di Albert Camus. In un anno così terribile – anche per il cinema, per le persone che ci lavorano – quella del giovane Tarrou è una risposta che allarga il cuore.
Quando arrivò in libreria la prima edizione del Mereghetti — l’opera venne ribattezzata da subito con il nome dell’autore, come in passato era accaduto solo al Rocci del vocabolario greco-italiano – conteneva appena tredici mila film; correva l’anno 1993, al governo c’era Carlo Azeglio Ciampi e i cinefili stentavano a credere che Clint Eastwood, l’attore feticcio degli spaghetti western di Sergio Leone, fosse davvero un grande regista. Ventisette anni e tredici edizioni dopo, le schede hanno raggiunto quota 33 mila. La formula è la stessa: titolo, dati tecnici, riassunto, commento e il temibile giudizio finale espresso in stelle, da una a quattro. Il critico del «Corriere», in compenso, rimette spesso in discussione le proprie valutazioni. Nell’ultima edizione, per esempio, sono «promossi» a capolavori titoli come Dumbo (prodotto da Walt Disney, non certo l’inqualificabile versione di Tim Burton); il mitico L’impero colpisce ancora e quell’inno al cinema (e all’amore) che è Garage Demy di Agnès Varda. Altri film vengono invece «ridimensionati», come Omicidio a luci rosse di Brian De Palma («rivisto oggi svela tutta la fragilità del proprio impianto, il giallo è pretestuoso e facilmente decrittabile»).
Non cambiano, in compenso, gli elementi di fondo che hanno reso quest’opera inimitabile (nonostante i molti tentativi, anche autorevoli) e insostituibile (nonostante il proliferare di blog e database in Rete): l’amore viscerale per i maestri del cinema classico, da Orson Welles a John Ford, da Alfred Hitchcock a Billy Wilder; la grande conoscenza del cinema orientale, che non va solo da Takeshi Kitano a Parasite, ma anche da Kenji Mizoguchi a Poetry; la passione per la commedia all’italiana (che, per inciso, è altra cosa rispetto cinepanettoni: anche se di questi tempi ci sono più apologeti del trash – anche tra i critici – di quanti ammirano ancora l’ironia di Monicelli).
Novità
Le schede tematiche: i corti di Buster Keaton, «Gianni e Pinotto», cinema e fumetti, un saggio su «Star Wars»
Ci sono autori che Mereghetti sente vicini, come i ragazzi terribili della Nouvelle Vague, ma anche i papà contro i quali quei giovani si scagliavano (ma quanto è bello La traversata di Parigi di Claude Autant-Lara?). E altri che proprio non sopporta, come Quentin Tarantino e Lars von Trier: forse più per come hanno influenzato – in peggio – un certo modo di fare cinema che per i loro film in sé. E chi ogni volta scarta (o regala) il cofanetto incellofanato del nuovo Mereghetti come un feticcio sa che la regola del gioco per il critico è solo una: guardare ogni film per quello che è, con attenzione e curiosità, senza pregiudizi, sempre pronto a farsi stupire. Con l’entusiasmo che gli fece dire, qualche anno fa, davanti a uno stagista stupito: «Ho appena visto Asterix e Obelix: missione Cleopatra, mi sono proprio divertito!». E che oggi lo fa rivalutare un piccolo, grande film proprio di Tarantino, Jackie Brown (tre stelle e mezza), che «trasmette una visione del mondo da noir d’altri tempi, cinica e romantica». Tra le novità di questa edizione ci sono anche cinque schede tematiche: una dedicata ai corti di Buster Keaton; una alla serie di Gianni e Pinotto; due agli intrecci tra cinema e fumetti nelle saghe della Dc Comics e della Marvel; e infine, «meraviglia delle meraviglie», un saggio dedicato alla saga di Star Wars, a cura di Filippo Mazzarella e Alberto Libera.
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, «ci sono stati anni in cui il cinema è stato per me il mondo». Così raccontava la sua adolescenza Italo Calvino nell’Autobiografia di uno spettatore. «Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva le proprietà d’un mondo, la pienezza, la necessità, la coerenza, mentre fuori dello schermo s’ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma». Certo, «per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano».
Oggi i cinema sono chiusi. Gli ultimi dati della Siae, diffusi lunedì, registrano un calo degli incassi al botteghino del 66 per cento nei primi sei mesi del 2020 (quasi 170 milioni di euro di incassi in meno); il bilancio finale sarà anche peggiore. In un corsivo sul «Corriere», ad aprile, Mereghetti si chiedeva: «Ritroveremo questo desiderio dopo mesi in cui ci siamo “abituati” a subire passivamente quello che ci è stato offerto in chiaro o in streaming? Non rischiamo di abituarci a un linguaggio meno esigente e meno rigoroso (Montalbano non è La donna che visse due volte, né un selfie è un ritratto di Irving Penn)? Possono sembrare questioni di lana caprina, mentre tutto il mondo è alle prese con la sopravvivenza e la recessione, ma sono problemi che fra qualche mese diventeranno essenziali, se siamo convinti che il cinema (e la musica e il teatro e l’arte) siano strumenti indispensabili per la crescita culturale di un Paese (…). Altrimenti non basterà un vaccino per sconfiggere questa pandemia».
Torna alla mente il finale di un film di Ingmar Bergman, Fanny & Alexander (quattro stelle): dopo tanti lutti, dopo mesi vissuti in una clausura senza speranza, le due donne della storia, Emilie ed Helena, decidono di mettere in scena un nuovo spettacolo. Quando arriva la notte, e Alexander si addormenta tra le braccia della nonna, lei legge il più bell’augurio per il futuro: «Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Su una base insignificante di realtà, l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni».