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 2020  novembre 20 Venerdì calendario

Marina Brunello, la vera regina degli scacchi

Ha visto la serie su Netflix?
«Le prime quattro puntate. Avevo già letto il libro, che preferisco. È fatta bene, fa capire com’è la vita di una giocatrice».
La nostra «Regina degli scacchi» si chiama Marina Brunello, ha 26 anni, è bergamasca ma dopo la laurea in psicologia è rimasta a Padova. Ha alle spalle una collezione incredibile di mosse vincenti: campionessa nazionale a 14 anni e 2 mesi, a 21 prima italiana a diventare Grande maestra, nel 2019 prima a conquistare anche il titolo di Maestro internazionale (assoluto).
Com’è la vita da scacchista?
«Si studia tanto, come si vede anche nella serie televisiva. Mi sono rispecchiata nella protagonista quando fa fatica a spiegare agli altri cosa sta leggendo. Capita anche a me con i miei amici, a volte rispondere è complicato».
Che cosa non le è piaciuto della fiction?
«La storia dell’alcol, nella realtà non funziona così. Nelle partite si è sempre al meglio, non ci si ubriaca prima. Il nostro è uno sport e valgono le regole degli sportivi».
Quanto si prepara?
«Gli scacchi sono il mio lavoro. In media 30 ore a settimana, ogni giorno mattina e pomeriggio. Leggo tantissimi libri, le raccolte delle partite commentate dai grandi maestri, analizzo le mosse migliori, poi studio le aperture, il medio gioco e il finale».
Ogni partita è una prova mentale ma anche di resistenza fisica.
«Si allena anche quella. Io corro tre volte alla settimana, il mercoledì gioco al calcetto, tranne in questo periodo. E sto attenta alla dieta».
Lei non è figlia, ma in qualche modo sorella d’arte.
«Mio fratello Sabino, più grande di 5 anni, si appassionò dopo un corso alle elementari. La nostra famiglia è di Rogno, Val Camonica. In paese a scacchi giocavano solo gli anziani al circolo, ma di sera e fumando, non era posto per bambini. Così ha insegnato a me e a mia sorella Roberta». (Sabino oggi è Grande maestro, Roberta è stata campionessa italiana nel 2006).
Che cosa apprezza di più degli scacchi?
«Il lato creativo. C’è una base di studio, ma sta al giocatore trovare ogni volta qualcosa in più, un’idea originale frutto del proprio pensiero. E il carattere delle persone si rispecchia nel modo di giocare. Io sono emotiva, e si vede».
Il momento più bello?
«La medaglia d’oro all’Olimpiade del 2018. L’ultima partita sapevo che se vincevo ero sul podio. L’avversaria sulla carta era più debole di me, ma ero tesa, la notte prima non avevo dormito. Ho iniziato male, poi ho recuperato, alla fine sapevo che ero in vantaggio ma mancavano ancora una ventina di mosse. Avevo finito l’acqua e la cioccolata, mi sentivo stanchissima, è stata dura, ma quando è finita mi è tornata tutta l’energia».
E il peggiore?
«Nel 2017, un torneo in Turchia. Su 9 partite le ho perse tutte. E si mangiava malissimo, la pasta non sapeva di niente, dovevo coprirla di ketchup...».
Tra di voi c’è più rivalità o solidarietà?
«C’è competizione ma ci aiutiamo molto e ci diamo consigli».
Che cosa le hanno insegnato gli scacchi?
«A prendermi le responsabilità, il risultato dipende sempre dalle tue scelte. E impari a farti sempre la domanda: perché?».
Appunto: perché le donne non sono ancora al livello degli uomini?
«Cinquant’anni fa una giocatrice era vista in modo strano. Ancora adesso siamo poche (appena il 7,5% tra i tesserati alla Federazione scacchistica italiana, ndr), di conseguenza è più difficile emergere».
Lei è stata ammessa al campionato italiano assoluto, unica donna.
«E non sono arrivata ultima. Ho fatto patta con chi poi ha vinto, e battuto il campione uscente. Ma la qualità del mio gioco non era sufficiente a fare di più».
Ci riproverà?
«Certo, bisogna sempre provare a migliorarsi».