la Repubblica, 20 novembre 2020
Contro la proposta del tennis breve
Un mio caro amico mi ha voluto, bontà sua, informare delle parole di Novak Djokovic. Delle sue intenzioni di voler ridurre a tre set i match degli Slam. Djokovic, un tanto caro ragazzo ma ignaro di storia, della storia del tennis. Perché, se avesse non dico letto ma almeno appreso del “Trattato del giuoco della palla” di Antonio Scaino, pubblicato nel 1555 a Venezia, avrebbe atteso qualche altro minuto, prima di esporsi. Avrebbe saputo, il serbo, che quello di Scaino sarebbe stato uno dei primi esempi di manualistica sportiva, nato da una partita dello stesso disputata contro il duca Alfonso. Avevano litigato: “uno puntiglio avvenuto giocando”. Così Scaino intuì che il gioco andasse codificato. E scrisse, nel nostro povero dialetto, un tomo meraviglioso, trascurato perché veniva comodo, nell’Ottocento, che inglesi e francesi si disputassero la paternità del gioco del tennis. Al buon Nole vorrei ricordare che il punteggio delle partite non era molto dissimile da quello attuale: Scaino usava il termine ‘cacce’. Ogni punto aveva il valore simbolico di 15, poi 30 e infine 45, che perderà il 5 per ragioni eufoniche. E poi certificò i tre gradi di vittoria (i set, diremmo oggi?), per un massimo di cinque cacce. Il tennis, all’epoca, non si chiamava ancora così ma era già regolato, nero su bianco. Ed era già metafora di una contesa più alta.
Scaino codificò interpretazioni educative e qualità cavalleresche, metafora della strategia militare. Era presente nelle corti di tutta Europa, dai Tudor agli Asburgo, dai Medici ai Gonzaga, dagli Sforza ai duchi di Montefeltro.
Caro Novak, devo consigliarti di recarti a Venezia ancor oggi, per ragioni tennistiche oltre che turistiche, al Palazzo Querini Stampalia dove ha sede l’omonima Fondazione che conserva, tra l’altro, un dipinto di Gabriele Bella, “Il gioco della racchetta”. Risale al 1770 circa. Raffigura un doppio, diremmo oggi. Disputato nell’edificio dove oggi ha sede il Club delle Balette. Indoor, aggiungeremmo come altra parola moderna. E c’era già il pubblico, che influenzava i racchettieri (non chiamiamoli tennisti) con commenti malevoli o incitamenti. I gesti bianchi erano di là da venire.
Ecco, mio caro Nole, vecchio compagno di breakfast all’hotel dei Cavalieri di Monte Mario, durante gli Internazionali di Roma. Questo vorrei permettermi di suggerirti, se posso. La storia va ascoltata, per non dire assecondata. E so quanto tu sia rispettoso della tradizione. Avrai tempo per pensarci.