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 2020  novembre 20 Venerdì calendario

Gli animali minori salvano il mondo

Piccoli, insignificanti se non inutili per l’uomo, brutti e spesso anche ripugnanti secondo i ristretti canoni umani di bellezza, gli animali di questa pagina sono solo un minimo campione di un enorme numero di specie sconosciuto ai più e familiare solo a qualche zoologo specializzato nel loro particolare gruppo tassonomico.
Quando pensiamo alle meraviglie della natura, lo facciamo per lo più usando i nostri criteri di bellezza o caricando specie animali e vegetali di significati che rispondono alle nostra dimensione umana, non alla loro dimensione biologica: gli animali ci appaiono tanto più interessanti quanto più sono vicini a noi dal punto di vista evolutivo (mammiferi) o quanto più mostrano comportamenti o composizioni di colori e forme in cui riconosciamo modelli vicini alla nostra esperienza.
È così che la nostra attenzione va in maniera spropositata su elefanti, gorilla, leoni, aquile e via a via a scemare su qualche tartaruga e qualche rana, per perdersi poi in piccolissimi rivoli nella palude infinita degli invertebrati. Le eccezioni a questa distorsione sono rarissime. Conoscenza e interesse per le specie non carismatiche restano attività per pochi specialisti. Così accade che gli sforzi di conservazione vadano in maniera sproporzionata sulle solite poche specie di vertebrati, dimenticando che il patrimonio genetico e la storia evolutiva di un bacherozzo hanno lo stesso identico valore di quelli di un leone o di un orso.
Peccato, perché la biodiversità è composta soprattutto dai piccoli e “brutti”. È lì che si scatena la fantasia dell’evoluzione con forme, colori, strutture, comportamenti e adattamenti ai più diversi ambienti di vita. È lì la meraviglia del creato, se è concesso usare questo termine per il prodotto di qualche miliardo di anni di prove e errori che l’evoluzione ha compiuto incessantemente per arrivare all’attuale composizione di specie.Basterebbe la meraviglia e lo stupore per tanta ricchezza a giustificare ogni sforzo per curare, proteggere e godere di tutte queste specie “minori”. Dovrebbe bastare un minimo di etica per comprendere che è nostra responsabilità evitare che le specie scompaiano per causa nostra. Certo l’estinzione è un fenomeno naturale e il 99 per cento delle specie finora prodotte dalla evoluzione si è estinta, ma nel corso di qualche miliardo di anni, non in pochi anni di coabitazione con l’uomo moderno. La nostra sconsiderata espansione numerica e il conseguente uso spropositato di risorse e ambienti ha aumentato la velocità di estinzione di almeno 1000 volte. Evidentemente, l’etica non basta. Allora dovrebbe servire uno degli assiomi centrali dell’ecologia che vuole che ogni specie abbia un suo ruolo nel complesso meccanismo che mantiene la funzionalità degli ecosistemi e quindi contribuisca a permettere la vita sulla terra come noi oggi la conosciamo. È un motivo più che sufficiente per curare la sopravvivenza non tanto delle poche specie grandi e carismatiche quanto delle piccole e, apparentemente, insignificanti.
Ma è davvero valido questo assioma? È teoricamente corretto, non c’è dubbio, e ogni specie, per quanto piccola, ha un suo piccolo ruolo. Ma quanto è importante questo ruolo? Se scomparisse, per esempio (ma speriamo mai), l’euprotto sardo, quali conseguenze colpirebbero il suo e il nostro ambiente? A fil di logica e delle attuali conoscenze, praticamente nessuna ma, in realtà, non lo sappiamo.
Nel mondo naturale c’è sicuramente una notevole ridondanza di ruoli. Se pensiamo, per fare un esempio macroscopico, all’incredibile varietà di grandi ungulati di una savana africana, è logico domandarsi cosa potrebbe accadere se ne scomparisse uno. Si incepperebbe forse la funzione ecologica a cui quella specie contribuisce ma non crollerebbe l’ecosistema savana. Quindi, via, lasciamo estinguere quella specie. E poi, via con un’altra e ancora un’altra e ancora…finché l’ecosistema collassa davvero e diventa qualcos’altro. Ecco, l’ecologia non è in grado di dirci quali e quante specie, grandi o piccole che siano, si possono rimuovere da un sistema prima che collassi. Quindi, per un banale principio di precauzione, non si dovrebbe rimuovere nulla, un po’ lo stesso motivo per il quale non attraversiamo la strada senza prima essere sicuri che non venga nessuno.
Accettare di perdere specie è come giocare alla roulette russa, sfidare la sorte sapendo che prima o poi il colpo in canna arriverà. Non rimuovere nulla è relativamente facile a dirsi se parliamo delle specie grandi e belle, più difficile per le piccole, neglette e rare. Ma è proprio questa la sfida cruciale che abbiamo sulla via della conservazione: i piccoli e brutti in realtà sono anche preziosi perché a tutti, proprio a tutti, dobbiamo la meraviglia della nostra stessa vita sulla terra.