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 2020  novembre 20 Venerdì calendario

Biografia di James Ellroy

«Sono l’autore di sedici libri, tutti capolavori. E precedono i miei futuri capolavori. Questi libri vi lasceranno sconvolti, lavati a vapore e a secco, ripiegati, messi in un angolo, fidelizzati, tatuati e sfanculati». In pubblico si presenta così, James Ellroy, e non scherza: sa di avere un talento folgorante, e ama trascinare il lettore nel suo mondo di tenebra. Del resto, l’incipit della sua presentazione è «Buona sera guardoni, furfanti, pederasti, annusatori di mutande, punk e magnaccia. Sono James Ellroy, il cane infernale, il gufo pazzo con il rantolo della morte, il cavaliere bianco della destra estrema». Il buio lo ha conosciuto sin da bambino, e ora non ne può più fare a meno, così come non sa rinunciare al suo personaggio maledetto e ossessivo: le abbraccia strette, le tenebre, perché è convinto che siano l’unica realtà dell’esistenza, e che la luce sia la più menzognera delle illusioni.
Questo formidabile scrittore è nato a Los Angeles 72 anni fa con il nome di Lee Earle, ma sin da bambino lo hanno chiamato tutti James. Il padre Armand era un ragioniere di attori di serie B. La madre Geneva un’infermiera dal linguaggio sboccato, che cambiava amanti con frequenza impressionante: è probabile che si prostituisse, ed è certo che fosse alcoolizzata. È con lei che James andò a vivere dopo il divorzio dei genitori, soffrendone molto. Finché un giorno, quando aveva 10 anni, la madre venne stuprata e uccisa: un evento che sconvolse per sempre il futuro scrittore, che a molti anni di distanza dice di aver reagito quasi con sollievo, perché gli consentì di andare a vivere con il padre, che amava, nonostante fosse a sua volta un alcoolizzato.
Il caso dell’omicidio della madre, di cui ha ripetutamente parlato nei suoi libri, è tuttora irrisolto, come anche quello di Elizabeth Short, la «Dalia nera» a cui ha dedicato uno dei suoi libri più belli e angosciati. Negli anni dell’adolescenza cominciò ad appassionarsi in maniera ossessiva a questo delitto, operando un evidente transfert psicologico. Cominciò quindi a studiare i casi di cronaca nera più efferati di Los Angeles grazie a The Badge, un libro che raccontava quelle vicende nei dettagli più morbosi. Sia Dalia nera sia L.A. Confidential nascono da quelle letture. Sin da adolescente soffrì di una grave forma di depressione e fece uso di alcol e droghe di ogni tipo. Finì ripetutamente in carcere per furto, e ripensando a quel periodo ha dichiarato: «Era facile non pensare al mio futuro: io non ce l’avevo».
La prima volta che lo incontrai viveva in una villa in Connecticut, e rimasi colpito dall’arredamento. La casa era assolutamente spoglia, tranne una serie di stampe di pesci attaccati al muro in senso verticale: c’era qualcosa di inquietante in quella affissione innaturale, così come nel grande busto di Beethoven che campeggiava nel salone. Mi spiegò che non leggeva mai i romanzi dei suoi contemporanei, e che si era cibato della grande tradizione della Hard Boiled School, a cominciare da Raymond Chandler. Sin dall’inizio ha concepito i suoi testi come parte di un unico mosaico su Los Angeles dove ricorrono spesso gli stessi personaggi, e ha creato uno stile inconfondibile, che affonda le radici nel jazz: leggerne i romanzi è un’esperienza in primo luogo musicale, e tutto nasce dalla richiesta del suo editore che gli chiese di eliminare dal primo manoscritto di L.A. Confidential alcuni episodi marginali per un totale di un centinaio di pagine. Ellroy tagliò invece da ogni frase le parole che riteneva superflue: è nato così lo staccato jazzistico che caratterizza il suo stile.
Non tutti i suoi libri sono dello stesso livello, e a volte il viaggio nelle tenebre si colora di manierismo, ma è impossibile rimanere indifferenti ad affreschi come American Tabloid, una rilettura forse fantasiosa, ma imprescindibile, dell’omicidio Kennedy. «La trinità di Camelot», scrive nel romanzo, «era questa: proietta un’immagine bella, bacia il culo e fotti». La pubblicazione di I miei luoghi oscuri coincise con la volontà di indagare sull’omicidio della madre: non riuscì a scoprire nulla di nuovo, e questo lo gettò in ulteriore depressione. La misteriosa presenza del male rimane un momento centrale della sua esperienza esistenziale e narrativa: dopo aver avviato una nuova serie di romanzi ambientati all’epoca della Seconda guerra mondiale, ha cominciato a interessarsi ad alcuni altri omicidi celebri come quelli di Sal Mineo: le tenebre avvolgono il mondo dello spettacolo, ed è il primo a sostenere che, nonostante il nome, la sua città non ha nulla di angelico.
Il suo pessimismo si trasforma spesso in nichilismo, e una volta disse che «alla fine è sempre e soltanto questione di denaro, il grande equalizzatore e comune denominatore». Anche le posizioni politiche sembrano parte di un personaggio: «Prendo posizioni di destra per sconcertare e fregare il pubblico», confessò una volta. Sono stati in molti a restare sorpresi quando dichiarò di essere contrario alla pena di morte e alla libertà di possedere delle armi. Poi spiegò: «Chiunque pensi che la politica non sia un crimine ha qualche rotella che non gli funziona». In realtà è del tutto apolitico: «Sono un maestro della narrativa», ripete piuttosto, «e il più grande romanziere di polizieschi che sia mai esistito. La mia importanza in questo genere è paragonabile a quello di Tolstoj nel romanzo russo e di Beethoven nella musica». Alle accuse di misoginia ha replicato: «Per me sulla Terra non esiste altro motivo per cui vale la pena vivere se non le donne». Anche in privato ama essere chiamato Dog, e a volte ti stupisce per momenti dove improvvisamente esce dal suo personaggio: uno dei libri più recenti ha in esergo una citazione dal libro dei Proverbi: «Non invidiare il tuo oppressore e non scegliere mai nessuna delle sue strade».