il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2020
Intervista a Fabrizio Moro
La sorpresa è che Fabrizio Moro ride. Prende in giro l’interlocutore. È autoironico. E piazza gommapiuma davanti agli spigoli della vita. “Non capisco perché ho la nomea da eterno incazzato”. Vuoi i testi, sempre impegnati, mafia, soprusi, rivincite, periferie, droga; vuoi per l’atteggiamento ombroso, di chi è pronto a tutto pur di difendersi; vuoi i tatuaggi, la fama, il coraggio di separare, nelle risposte, la crusca dell’ipotesi dalla farina della certezza. Ecco il perché all’interrogativo.
Ora, come un punto di riflessione, è uscito con un album, Canzoni d’amore nascoste, in cui “ho ripreso in mano i brani ai quali sono più legato e ho cercato di dar loro una veste sonora molto netta, simile all’origine. Ascoltandolo ho pensato: questo è il mio disco più bello, ci sono pezzi che amo e a delle canzoni mi dispiaceva non dare una seconda chance. Alcune sono uscite quando la luce su di me era un po’ più fioca”.
Nun c’ho niente
in romanesco è una delle più belle.
Nata perché ho scritto un film, e ho iniziato la produzione e i casting; questo impegno mi ha dato linfa vitale: l’ho scritta rileggendo la sceneggiatura.
È morto Proietti: qual è il suo pantheon romano?
Sono cresciuto con Verdone, conosco i suoi film a memoria; la prima volta che l’ho visto eravamo ospiti di un concerto degli Stadio: esco dal camerino e me lo trovo davanti. Lui mi viene incontro, mi abbraccia, resto immobile, perché me stavo pe’ mette a piagne.
Fermo.
Inebetito. Non sono riuscito a dirgli nulla. (Ci pensa) Ho vissuto più la periferia romana, San Basilio, rispetto al centro, ma oggi la periferia è Roma: in centro ci sono snob, poca condivisione, non conosci il vicino di pianerottolo. E non vanno al mercato.
Lei cambia casa in continuazione.
Ho un’ossessione per l’acustica; una volta ho traslocato solo perché sentivo troppi aerei, mentre ora ho l’angoscia delle auto.
Ha dichiarato: “La maggior parte dei colleghi arriva da famiglie benestanti”.
E raccontano di aver fatto il cameriere o il gitano…
Mentre lei.
L’adolescenza è stata bellissima, non mi sono mai lamentato; quando la sera con i miei figli decidiamo di fare un giro in auto, li porto a San Basilio, davanti ai palazzoni dove sono cresciuto.
Bullizzato?
Mai, anzi sono stato difeso. Mio nonno era pugile, la sua prima regola era: “Quando ti rompono, mira subito al naso, altrimenti te li porterai dietro tutta la vita”.
Nel suo film il personaggio principale è un pugile.
L’unico contatto tra me e lui è una domanda che mi pongo da sempre, quando non sai se un gesto o un atteggiamento è classificabile come bene o male, azione giusta o sbagliata.
Nei suoi brani spesso parla di errori.
Il conflitto interiore è una scintilla per la creatività.
Se li sente 45 anni?
Nello stomaco; (sospira) sia a livello organico che mentale: riverso tutto lì.
Zero nel suo ultimo album attacca i giovani musicisti, tutti uguali.
Se Renato si riferisce alla serie trapper o simili, allora gli do ragione: non è musica.
Cos’è la musica?
È mestiere e lo devi imparare. Devi studiare. Approfondire. Il ruolo di frontman lo impari sul palco. È l’unico modo per salvarti, per non sparire subito.
Il suo errore da ventenne.
Un aspetto è rimasto uguale, e mi fa sbagliare: la paura, anzi la pressione. In passato magari stonavo, mi rifugiavo in un bicchiere di vino, poi non ricordavo le parole, sparavo cazzate sul palco perché ubriaco.
Ora?
Ho imparato a gestirla; l’altro giorno ho registrato uno show case, senza pubblico, ed è arrivato l’ attacco di panico: ho sbagliato i testi di un brano che canto da vent’anni; (cambia tono) allora ho focalizzato mia figlia: pensare a qualcosa di bello durante un momento di crisi rientra nel mestiere; tanti anni fa avrei bevuto una birra in più o sarei andato in camerino e mollato la partita.
Il suo amico Grignani sembra aver perso la partita con alcool e paure…
Paradossalmente ha avuto una storia più complicata della mia: appena uscito ha ottenuto un botto, ed è tosta reggere; io ho avuto alti e bassi, che mi hanno permesso di imparare gradualmente come gestire la pressione.
Lui no.
Siamo una generazione di cantautori in mezzo a un grande cambiamento: prima di noi bastava un album di successo ed entravi tra i grandi; dopo di noi sono arrivati i ragazzini con le loro visualizzazioni su Internet; pochissimi della nostra età sono sopravvissuti. Gianluca si è schiantato in mezzo al cambiamento, ma resta uno dei più bravi.
Lei e i social.
Ho la nausea, non li guardo, mi prendono gli attacchi di panico. A chi mi segue del management dico sempre: ho 45 anni non mi rompete con i contributi, se ho tempo sto con i miei figli o gli amici. Non posso vivere con il telefonino in mano.
Cosa le manca?
Ora? Cantare dal vivo: io scrivo solo pensando al palco.