Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  novembre 19 Giovedì calendario

La parabola evangelica di Totti

Ho visto il film di Alex Infascelli Mi chiamo Francesco Totti (Amazon e Sky) e l’ho seguito con attenzione, nonostante non sia tifoso romanista, nonostante sia ancora aperta la ferita di quel Roma-Torino 3-2 quando, nei quattro minuti finali, Totti riuscì a ribaltare una partita già persa (20 aprile 2016).
Fra le molte suggestioni proposte dal film, ho trovato ingeneroso il capitolo nei confronti dell’allenatore Luciano Spalletti. Non entro nel merito del loro rapporto, che non conosco, ma dal punto di vista drammaturgico qualcosa non torna. O torna fin troppo bene. In fondo, l’aperta ostilità di Spalletti (Totti: «È stata una cattiveria. Mi hanno cacciato da Trigoria, da casa mia») è servita perché la bandiera della Roma compisse l’ultimo atto per entrare in una dimensione quasi sacrale: l’immolazione della «vittima sacrificale». Spalletti andava raccontato non con rancore ma come uno strumento di un destino già scritto: si è dannato in eterno per un suo ultimo «dovere d’amore».
In quello straordinario libro che è L’opera del tradimento di Mario Brelich, August Dupin, l’immortale investigatore di E. A. Poe, affronta un giallo teologico insolubile: come Giuda compì il disegno divino tradendo Cristo e insieme elevò, sacrificandolo, il Figlio fino al Padre. Anche nel romanzo La gloria di Giuseppe Berto si tesse una riabilitazione di Giuda. La cui infedeltà altro non sarebbe che lo strumento necessario all’attuazione degli imperscrutabili disegni provvidenziali (Cristo doveva essere tradito da qualcuno per essere crocefisso); sicché l’apostolo reietto, il maledetto per antonomasia, sarebbe la vittima inconsapevole di una delle tante «opere di Dio». L’ultima parola a J.L. Borges: «(il tradimento) fu cosa prestabilita, e che ebbe il suo luogo misterioso nell’economia della redenzione». Solo così il Capitano sarebbe passato dalla cronaca alla storia.