la Repubblica, 19 novembre 2020
Il castoro solitario è tornato sulle Dolomiti
SESTO PUSTERIA — Sulle rive del lago, nella notte, altri ontani, saliconi e giovani noccioli sono stati abbattuti. La corrente del rio Sesto scuote le fronde gelate, già ammassate in due piccole dighe. Cortecce fresche coprono la galleria che sott’acqua conduce alla prima tana. Dopo 478 anni un castoro è tornato sulle Alpi centrali italiane. A favorire il suo lungo e misterioso viaggio, iniziato sull’Ossiacher See nella Carinzia austriaca, l’assenza dell’uomo. Dalla primavera il Covid, dopo la catastrofe della tempesta Vaia, in alta quota prolunga la solitudine nelle foreste più remote delle Dolomiti. Sulla scia di sciacalli, lupi e lontre, e dopo una lince, a fine ottobre anche il più grande tra i roditori selvatici è riapparso in Italia. L’ultimo esemplare era stato segnalato sul fiume Po, vicino a Pavia, nel 1542. In Alto Adige, all’epoca dominio asburgico, l’ultimo castoro era stato catturato a Versciaco nel 1594.
La natura ha avuto bisogno di quasi cinque secoli per suggerire all’istinto di un castoro, specie iper protetta in Europa, che è venuto il tempo di disperdersi lungo corsi d’acqua nuovamente sicuri. Nel novembre di due anni fa un altro esemplare era stato segnalato nel Tarvisiano, in Friuli, al confine con Austria e Slovenia. La straordinaria scoperta, in Alta Pusteria, si deve a Reinhard Pipperger, 50 anni, guardiacaccia che da anni segue camosci, cervi e caprioli nelle montagne tra San Candido e Moso. «L’altra mattina – dice vicino a tre piante cadute – ho pensato che qualcuno le avesse tagliate con l’accetta. Mi sono avvicinato e ho scoperto che invece i fusti sono stati rosicchiati. Non potevo crederci: solo nei documentari ho visto l’opera di un castoro».
La sera stessa una foto-trappola è stata appesa a un albero. Poco prima di mezzanotte, protetto dall’oscurità, l’animale ha ripreso il lavoro che gli assicura cibo e protezione. Non ha più smesso: gli scienziati che lo seguono ormai sono certi che ha scelto questa macchia per vivere. «È stato un viaggio eccezionale – dice Luca Lapini, zoologo del museo di storia naturale di Udine che studia l’esemplare segnalato vicino ai laghi di Fusine – lungo circa 200 chilometri di fiumi e torrenti. Dopo aver lasciato i clan protetti in Austria da oltre trent’anni, ha superato da solo le gole e le cascate che dividono la catena delle Alpi. Resti fossili di castoro nel nostro Paese risalgono a 2500 anni fa. La storia della vita insegna che quando un animale si insedia in un luogo, altri sono pronti a seguirlo. Per biodiversità e catena alimentare, siamo davanti ad un sorprendente nuovo inizio». La pandemia che colpisce gli esseri umani, per gli altri animali è un’opportunità, come una tempesta lo è per i vegetali. Gli spazi vuoti lasciati dalle specie dominanti, vengono occupati dalle altre e dai pionieri. Questo castoro nato nel bacino del Danubio, durante un viaggio a tappe notturne di molte settimane, ha sentito di poter contribuire a un nuovo habitat sul versante sud delle Alpi. «Pesa circa 25 chili – dice Pipperger – poco meno di un cucciolo di camoscio. Potrebbe avere u n paio di anni: tra i mammiferi sono i maschi giovani a esplorare territori sconosciuti. Se una femmina non lo raggiunge, il suo coraggio resterà vano».
Per la vita sulle Dolomiti è però già una rivoluzione. Il castoro, grazie a dighe e sbarramenti, rallenta la corsa dell’acqua e crea piccoli laghi comunicanti. «In un paio d’anni – dice Lapini – moltiplica la biodiversità di un torrente tra il 200 e il 400%. Ricompaiono bestie e piante scomparse. Le sue gallerie arieggiano la terra. La capacità di percepire a distanza il punto esatto del pianeta adatto ad accoglierlo, resta un enigma».In Europa era stato sterminato. Per secoli è stato cacciato per la carne, per la pelliccia e per ricavarne un profumo. Resiste in Scandinavia e nell’Est. Alla fine del Novecento è stato reintrodotto in Svizzera e in Austria, dove già ci si scontra per i danni a campagne e centraline elettriche. Presto il ministero dell’Ambiente lo reinserirà tra le specie avventizie dei mammiferi anche in Italia. Prima però il castoro riapparso alle porte di Sesto dovrà superare la prova dell’inverno. Per questo adesso, oltre quota 1300 metri, lavora ogni notte.
«Il ghiaccio sta per bloccare il lago – dice Pipperger – deve scavare due o tre tane nelle rive, accumulare alberi per riparare gli ingressi dalla neve e difendersi dalle volpi, piegare le fronde per conservare foglie fresche e germogli. È questa la ragione che lo spinge a non tranciare del tutto i fusti più nutrienti». Il problema, come per l’esemplare riapparso sopra Tarvisio, resta la solitudine. Solo un labirinto di rivi e torrenti lo collega ai fiumi Rienza e Drava e di qui all’originario bacino danubiano, in cui le famiglie dei genitori sono calate da Repubblica Ceca e Polonia. In media un castoro vive vent’anni: il tempo per accoppiarsi e ripartire verso il sistema fluviale del Piave, destinato a riportare la specie nei delta del Veneto e della pianura Padana.
«Finalmente il Covid ci regala una bella notizia – dice Pipperger – dopo 500 anni un castoro silenziosamente ci insegna a non perdere mai la fiducia nel prodigio della vita». Indica le sue orme impresse nel terreno ghiacciato e toglie la foto- trappola. Da oggi solo la natura lo deve proteggere fino al ritorno della primavera. Anche l’Italia piegata dal virus nutre la stessa speranza di resistere all’inverno, di un coraggioso risveglio.