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 2020  novembre 18 Mercoledì calendario

Il lungo addio alle azioni di risparmio

La conversione delle azioni di risparmio di Danieli e Buzzi-Unicem: due operazioni fotocopia, solo che la prima è stata bocciata, mentre la seconda – domani quando si riuniranno i soci – ha buone chance di passare. Entrambe hanno proposto la conversione con un rapporto che sacrifica le azioni senza diritto di voto: 0,65 azioni ordinarie a fronte di ogni azione di risparmio posseduta per l’azienda di impiantistica di Buttrio, 0,67 per la cementiera di Casale Monferrato. Entrambe hanno indorato la pillola con un dividendo straordinario da distribuire dopo la conversione a tutti, per compensare così anche la diluizione degli azionisti ordinari della prim’ora. In entrambi i casi l’operazione era strutturata in modo da non compromettere il controllo, in Danieli aggiungendo il rimedio del voto maggiorato che in Buzzi non è necessario, dato che la quota del primo azionsita, Fimedi, scenderà dal 59,09% al 50,94%.
Destino incrociato, ma con finale diverso, dunque, per le ultime operazioni della serie. Un trend partito da lontano che, nell’ultimo decennio, ha interessato blue chip quali Fiat, Italcementi, UniCredit e Intesa. La ratio è sempre la stessa: razionalizzare e semplificare la struttura del capitale, allineare i diritti di tutti gli azionisti, aumentare la liquidità del titolo. Le azioni di risparmio – che garantiscono una maggiorazione sul dividendo, ma non danno diritto di voto e in caso d’Opa (sempre più rare) possono essere tranquillamente ignorate – andavano di moda parecchi anni fa perchè consentivano alle aziende familiari di raccogliere capitali senza intaccare il controllo. Alla fine sono state superate, come le scatole cinesi, perchè gli ordinamenti hanno offerto sistemi più sofisticati – quali le azioni a voto multiplo – per permettere a imprenditori e famiglie di restare comunque in sella. Considerato che la categoria è costosa, si sono così moltiplicate le operazioni per cancellarle. All’inizio la conversione era gradita a tutti, anche perchè il privilegio sul dividendo era tutto sommato marginale. Ma la lunga stagione dei tassi bassi ha reso le risparmio più competitive, gettando qualche dubbio tra i possessori sui vantaggi della conversione e spingendo gli investitori professionali ad alzare la posta.
Nel caso di Danieli il pressing del mercato ha portato a migliorare consistentemente il premio via dividendo straordinario, che però ha il difetto di essere ex post e quindi di beneficiare di fatto, in maggior misura, gli originari azionisti ordinari. Con un cedolone da 1,2 euro per azione il premio per gli azionisti di risparmio sarebbe aumentato dal 7,69% della vigilia dell’annuncio (8,38% rispetto ai sei mesi antecedenti) al 18,23% (e al 19,47% sulla media delle quotazioni del semestre). La mossa non è bastata a convincere gli azionisti di risparmio che hanno votato contro la conversione, seppure con una maggioranza assembleare limitata a poco più del 52%. Il proxy advisor Iss aveva dato pollice verso, bollando la proposta comunque come opportunistica, essendo il rapporto di conversione inferiore alla media del rapporto implicito nelle quotazioni di Borsa degli ultimi cinque anni (pari a 0,7 rispetto allo 0,65 del concambio). Nel caso di Buzzi il dividendo straordinario non muta la convenienza dell’operazione nella stessa proporzione, perchè i 75 centesimi per azione (che andranno a tutti i soci post conversione) hanno l’effetto di alzare il premio (sull’ultimo giorno pre-annuncio) al 22,7%, ma partendo dal 18,46% (dal 20,12% al 24,79% rispetto alla media delle quotazioni del semestre). Iss anche qui ha puntato il dito contro la logica opportunistica – il rapporto di conversione è vicino ai minimi – ma la media di Borsa degli ultimi cinque anni, pari a 0,59, è ancora inferiore e alla fine il proxy anglosassone ha suggerito di votare a favore. I fondi, che avevano provato a sollecitare un po’ più di generosità, si dovranno accontentare.