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 2020  novembre 17 Martedì calendario

La Torre di Pier Paolo Pasolini è in vendita

Chi in questi giorni si mettesse a cercare un casale da acquistare nel viterbese potrebbe facilmente trovare in vendita la Torre di Chia, un’antica fortezza degli Orsini, da decenni nota come la “Torre di Pasolini”. Prezzo: 800 mila euro. La comunità locale chiede al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che sia lo Stato a rilevare la costruzione. Perché è in questo luogo che il regista-poeta trascorse parte degli ultimi anni della sua vita, tra quegli ambienti, che lui stesso aveva contribuito a ridisegnare per farne una “casa di luce”, compose parte di Petrolio e delle Lettere Luterane. Si era innamorato di quella fortezza, immersa in un bosco di querce e posta a precipizio sul fosso della Molinella, girando il Vangelo secondo Matteo. Di quella passione ci informava Enzo Siciliano, che nel film interpretava il ruolo di Simone: "Agli inizi della primavera 1964 il Vangelo entrò in lavorazione. Le prime inquadrature girate furono quelle del battesimo di Gesù – e il Giordano venne trovato fra Orte e Viterbo in una fessura scavata da un torrente in mezzo a rocce aspre e selvagge. In quell’occasione Pier Paolo scoprì la Torre di Chia di cui letterariamente si innamorò: decise di acquistarla, ma l’acquisto gli riuscì dopo non pochi anni”.
Tanto desiderava quella torre che nel 1966, in alcuni versi dal Poeta delle ceneri, sembra fondere il sogno di una vita differente a quel luogo:
Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti,/ che io vorrei essere scrittore di musica,/ vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/ nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto/ sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta/ innocenza di querce, colli, acque e botri,/ e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà.
Amava quel luogo, ma non riusciva a convincere alla vendita il proprietario, Agostino Parsi, che nel piazzale della torre teneva un orto e che pescava gamberetti di fiume nel torrente. Angela Rosa, la figlia di Agostino, racconta che un giorno Pasolini si presentò a Chia con Maria Callas e fu in quel pomeriggio che, dopo una lunga opera di persuasione, l’accordo fu raggiunto e siglato, in cucina, al margine del set della Medea. Nel 1970 finalmente il regista acquista la Torre di Chia e la ristruttura, avvalendosi anche dell’aiuto dello scenografo Dante Ferretti.
A testimonianza del rapporto viscerale tra Pasolini e quella casa di vetro e di pietra restano gli scatti di Dino Pedriali, cui avrebbe detto: “Dino, fotografami nudo. Mi hanno considerato scandaloso, questa volta sì che farò un’opera scandalosa. Quello che non si capisce con la parola, si capirà con le fotografia”. Le fotografie non dovevano essere pubblicate da riviste, ma erano destinate a diventare corpo di Petrolio. Aveva scritto ad Alberto Moravia che era stanco di essere un narratore convenzionale, voleva manifestarsi al lettore “in quanto io stesso, in carne e ossa”.
Il corpo nudo si palesa oltre un vetro che è promessa e insieme negazione di una prossimità reale, nella sua assoluta solitudine, splende a un passo dalla fine. In un’analogia tra morte e montaggio, Pasolini aveva detto che solo al suo termine la vita acquisisce una forma compiuta, quando un presente infinito, instabile e incerto, si trasforma in un passato chiaro, stabile e certo. Forse anche per questo le foto di Pedriali, realizzati a due settimane dall’omicidio dell’idroscalo, il 2 novembre 1975, appaiono come la cristallizzazione della sua essenza, più nitida a Chia dove il poeta regista poteva sentirsi pienamente libero: "Sono solo, in mezzo alla campagna: in una solitudine reale, scelta come un bene. Qui non ho niente da perdere (e perciò posso dire tutto), ma non ho neanche niente da guadagnare (e perciò posso dire tutto a maggior ragione)".
Nascono in questa solitudine molte delle sue Lettere luterane, che forse devono il loro nome proprio a questo castello nel viterbese, dal quale poteva lanciare i suoi appelli, riecheggiando la figura mitizzata del frate agostiniano. Come Lutero, scomunicato dal Papa e inseguito dall’imperatore, aveva trovato riparo nel castello di Wartburg, così lui, espulso dal Pci e censurato dalla Dc, s’era rifugiato nei boschi della Tuscia-Turingia. Amava la Tuscia, lo si vede bene nel documentario La forma della città che si apre con la vista di Orte, un panorama che gli appariva nei suoi continui viaggi tra Roma e Chia. Pasolini avverte, tra i pochissimi, l’inizio di quel processo di sistematica distruzione del paesaggio di cui denuncia la ricaduta sul piano antropologico. Invoca un processo contro una classe politica imputata della “distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia” e “della degradazione antropologica degli italiani”. Anche l’analisi dura e lucidissima di Processo alla Democrazia Cristianaè vergata a Chia, come si rileva dall’amara visione con cui chiude questa sua ennesima lettera luterana: “L’immagine dei potenti democristiani ammanettati tra i carabinieri è un’immagine su cui riflettere seriamente. Ma devo farlo solo io, in mezzo a un bosco di querce?”.
È un periodo d’invettive che s’accompagnano a un impegno fiducioso, di cui resta traccia nell’intervista rilasciata a Gideon Bachmann, pubblicata sul Messaggero del 22 settembre 1974: "C’è da salvare la città nella natura. Il risanamento dall’interno. Basta che i fautori del progresso si pongano il problema. Questa regione, che per miracolo si è finora salvata dalla industrializzazione, questo Alto Lazio con questa Viterbo e i villaggi intorno, dovrebbero essere rispettati proprio nel loro rapporto con la natura... Tutto è in balìa della speculazione. Ciò di cui abbiamo bisogno è di una svolta culturale, un lento sviluppo di coscienza”. Parole profetiche se davvero oggi ci si trova a dover difendere quel suo castello, messo in vendita come un “casale in ottimo stato di 185 metri quadrati”.