il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2020
Al grande albero io non ci credo
L’albero intricato è l’ultimo libro che ho scritto. Quando scrivo non mi limito a raccontare la storia della scienza, ma scrivo delle persone che hanno fatto e fanno la scienza, che poi alla fine è un processo umano: perché “le persone, pure quando leggono di scienza, vogliono prima di tutto leggere storie”.
Nel 2012 negli Stati Uniti usciva Spillover e, dopo la pubblicazione, ero in giro alla ricerca di un’idea per il libro successivo. Mi capitò di leggere un articolo su un fenomeno di cui non avevo mai sentito parlare: il trasferimento genico orizzontale. Normalmente pensiamo che i geni si spostino solo in senso verticale, da una generazione alla successiva, dai nonni ai genitori e fino ai nipoti. Se dovessimo disegnare la storia dell’evoluzione, la storia della vita, come un albero, immagineremmo quindi gli spostamenti genici dal tronco ai rami più grossi, per proseguire sino a quelli più periferici, attraverso un movimento verticale. Il trasferimento genico orizzontale è invece molto controintuitivo, è differente: perché teorizza che i geni si possano muovere anche orizzontalmente tra un ramo e un altro, tra una diramazione e un’altra, non più solo dal tronco verso i rami.
I geni possono quindi attraversare i confini di specie, o passare da un regno a un altro. (…) Come prima reazione ho pensato fosse impossibile. E ho iniziato a realizzare quanto il concetto di “trasferimento genico orizzontale” fosse così affascinante da chiedermi se sarei stato in grado di scriverne un libro. Mi rendevo conto di quanto fosse tecnico e in un qualche modo astratto: sarebbe stato difficile scrivere a partire da questo concetto una storia umana e intrigante, non solo illuminante ma anche piacevole per un lettore normale. Durante le mie ricerche, mi sono così imbattuto in un personaggio, un uomo che non conoscevo e che era morto sei mesi prima che iniziassi a interessarmi al tema: Carl Woese. È stato un microbiologo dell’Università di Urbana-Champaign, Illinois, a oggi lo definirei il biologo più importante del 900 di cui non avete mai sentito parlare. (…) Charles Darwin fu il primo a proporre un albero della vita evolutivo, quale rappresentazione di come la vita sulla Terra si sia sviluppata per 3,8, forse 4, miliardi di anni. Woese era interessato a studiare la storia ancora più antica, andando a ritroso oltre quei 3,8 miliardi di anni e arrivando al punto in cui la vita aveva preso il via, iniziando a ramificarsi.
Fino ad allora gli scienziati dividevano gli organismi viventi in procarioti (batteri, ovvero cellule semplici non dotate di strutture complesse come un nucleo) ed eucarioti (cellule complesse dotate di nucleo, come quelle del nostro corpo). Nell’autunno del 1977, quell’uomo che posa spavaldo per la copertina del New York Times, seduto alla sua scrivania con i piedi poggiati sul ripiano, davanti a una lavagna piena di appunti e cifre, aveva scoperto “una forma di vita separata”, un “terzo regno” di forme biologiche che si aggiungeva ai due già conosciuti: quell’uomo era Carl Woese.
Negli anni 60 e 70, quello che si conosceva della struttura cellulare era unicamente dato da ciò che era visibile al microscopio. RNA e DNA, le due molecole genetiche, sono composte da quattro lettere che si ripetono in diverse combinazioni. Sequenziare il genoma significa capire come queste lettere si compongano nella lunga e complessa molecola. Woese ebbe un’idea: prese una molecola universale che si trovava in tutte le forme di vita – da quelle batteriche a quelle più complesse – e cercò di sequenziarla in diverse creature, per poi compararle tra loro e vedere quanto queste fossero simili. Con l’aiuto di alcuni studenti e colleghi iniziò a mettere a punto questo metodo, quando non esistevano ancora macchinari complessi per sequenziare il genoma, utilizzando sostanze tossiche e chimiche, macchinari ad alta tensione, solventi esplosivi e fosforo radioattivo nel suo laboratorio di Urbana. Alcuni degli studenti di allora che ho rintracciato mi hanno detto che è un miracolo che non siano tutti morti.
Woese, con questo sistema, trovò il modo di estrarre questa molecola universale particolare da diverse forme di vita, la divise in parti e sequenziò in ognuna delle parti le lettere attraverso l’elettroforesi, sistema che crea una pista elettromagnetica per i frammenti di queste molecole. Vedendoli correre su questa pista ne osservò la diffusione e capì che poteva distinguere le lettere in ciascun frammento. In questo modo aveva creato un genoma per ognuna delle creature che stava sequenziando. Per comparare questi genomi non aveva a disposizione computer potenti, fece tutto a mano con la matematica.
La sua prima grande scoperta fu che esisteva un regno della vita di cui nessuno era a conoscenza: creature monocellulari che apparivano come batteri al microscopio. Attraverso il suo sistema si rese conto che non si trattava di batteri: erano più vicini agli esseri umani o agli animali che ai batteri stessi. Fu così che disegnò il terzo ramo nell’albero vita, quello degli archei, le forme di vita complessa più antiche mai conosciute. (…) Altri scienziati iniziarono a utilizzare il metodo di Woese e giunsero a un’altra grande scoperta: il trasferimento genico orizzontale. Compresero che certi geni non sarebbero potuti passare da un ramo all’altro dell’albero della vita in verticale, dovevano essere passati lateralmente da una specie a un’altra, da una generazione all’altra, da un regno della vita all’altro. Eravamo ormai negli anni 80-90, e il sequenziamento genetico era diventato più semplice e automatizzato. Se a Woese erano serviti anni e sostanze pericolose, ora bastava un computer e il tempo di un pomeriggio. La raffigurazione complicata dell’albero della vita si faceva sempre più intrecciata e complessa.
Charles Darwin non avrebbe potuto nemmeno immaginarlo. Non era più possibile disegnarne il tronco e i rami: perché i rami si fondono l’uno con l’altro, divergono e convergono allo stesso tempo, passando da uno a un altro orizzontalmente. L’albero della vita non era più un albero, ma una rete.
E anche noi stessi siamo un mosaico di forme di vita. L’8% del genoma umano consiste in residui di retrovirus che hanno invaso il Dna dei nostri antenati. Sono i “resti” dei trasferimento genico orizzontale, in anni e anni di evoluzione della specie.
(testo della lectio alla Biennale Tecnologia)