Corriere della Sera, 17 novembre 2020
Chailly e la passione per Beethoven
«Dapprima sbalorditi e inquieti gli uni, sbigottiti e spaesati gli altri. Così mi sembrarono, osservandone i volti, i professori d’orchestra e gli ascoltatori quando, da poco nominato Kapellmeister, iniziai a eseguire le Sinfonie di Beethoven al Gewandhaus di Lipsia». Riccardo Chailly sta raccontando la sua avventura beethoveniana con la gloriosa orchestra sassone. L’occasione di una riflessione sul sinfonismo del musicista renano la offre l’uscita dell’incisione integrale delle sue Sinfonie e Ouverture: 5 cd che si possono acquistare con Corriere e Gazzetta a partire da oggi e fino al 16 dicembre, il giorno esatto della nascita di Beethoven 250 anni fa. Un cofanetto di successo che il direttore milanese ha inciso proprio con l’orchestra del Gewandhaus dopo una lunga serie di esecuzioni sia in casa, a Lipsia, sia in trasferta a Vienna, Londra e Parigi.
Ma perché tanto sbigottimento? «Quando iniziai il mio rapporto di stabilità con quell’orchestra che ha quasi 400 anni di storia – prosegue Chailly —, ero il 19° direttore che intraprendeva con essa il percorso esecutivo completo del sinfonismo beethoveniano. Vedere l’elenco dei predecessori, da Mendelssohn a Nikisch fino a Masur e Blomstedt, era come ripercorrere la storia del pensiero musicale tedesco. Ma è stato proprio con loro che ho lanciato la sfida di ripristinare i metronomi originali indicati da Beethoven». Questi ultimi suggeriscono tempi sensibilmente più rapidi di quelli della tradizione, specie in Germania.
«Erano davvero sorpresi – continua —, perciò convocai le prime parti affinché prendessero coscienza delle mie intenzioni, che riguardano anche un certo tipo di attenzione alle dinamiche, quale in passato avevano osservato direttori come Mahler, Szell e Toscanini. E a poco a poco orchestra e pubblico si sono lasciati coinvolgere fino al punto di confidarmi che, oggi, non tornerebbero più al Beethoven tradizionale».
Questa chiave interpretativa, che molto deve all’esempio di Weingartner e Toscanini, può affascinare molto o per niente, ma certamente non lascia indifferenti gli ascoltatori, come si è notato alla Scala negli ultimi mesi. «Dopo aver fatto una Settima, mi ha molto colpito – confessa ancora Chailly – che la Filarmonica della Scala, che aveva già ripercorso il ciclo con Giulini, Muti e Barenboim, mi abbia chiesto di riprogrammarlo per le celebrazioni del 250° della nascita del compositore. La pandemia ci ha impedito di completarlo ma anche alla Scala ho visto le stesse reazioni: sorpresa prima, piena adesione al progetto poi. Anche perché, affrontate così, mi sembra che le Sinfonie lascino emergere ancora di più la varietà dei tratti espressivi di Beethoven: non solo quelli eroici e quelli tra il serioso e il meditativo, ma anche quelli più estroversi e umoristici».
Impossibile dire con pretesa di oggettività quale sia la più bella delle nove. Ma quale ama di più il maestro Chailly? E quale è più difficile da dirigere? Non ha dubbi: «Ho eseguito le pari più delle dispari ma se dovessi proprio scegliere, nella famigerata isola deserta porterei l’Eroica. Quanto alla più impegnativa, non saprei scegliere tra la Seconda e la Pastorale». A chiedergli invece se ogni Sinfonia sia cosa a sé o parte di un tutto, sostiene che «dopo 40 anni di esecuzioni beethoveniane, so bene che ognuna è un mondo, ma credo anche che Beethoven attingesse le idee da una sorta di macrocosmo personale. E ciò spiega perché tra l’una e l’altra vi siano molte affinità».