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 2020  novembre 17 Martedì calendario

Il fascino in declino di Oxford e Cambridge

Il Times di ieri riportava un interessante studio commissionato dalla società di consulenza e reclutamento New Street Consulting Group di Londra, dove si dice che oggi "solo" il dieci per cento degli amministratori delegati delle 100 maggiori società britanniche quotate in borsa vengono da Oxford e Cambridge. Dieci anni fa erano il 23 per cento. Che fine hanno fatto i 13 mancanti? Crolla il mito di Oxford e Cambridge? Non pare, anche perché le due più prestigiose università inglesi continuano a rimanere nella top ten delle graduatorie mondiali. Sembra però che altri poli universitari – Manchester, Warwick, Bath, Bristol, York, Durham – stiano diventando centri di eccellenza e che producano studenti in grado di competere con quelli di "Oxbridge".
La questione, però, è stimolante perché da sempre i college Oxford e Cambridge oltre che luoghi di eccellenza sono il simbolo dell’establishment britannico, del suo classismo ed elitismo. Ogni anno si riapre la polemica sulla mancanza di diversità e di meritocrazia tra i cortili centenari e i pratini verdi delle due prestigiose istituzioni. Concedetemi alcuni numeri, perché aiutano a fotografare una situazione piuttosto incredibile, altrimenti difficile da comprendere dall’Italia.
Il fatto è che il 90 per cento degli ammessi a Oxford e Cambridge viene da una scuola privata. E solo il 7 per cento degli studenti inglesi può permettersi di frequentare una scuola privata. Le scuole pubbliche sono nella media disastrose. Chiunque abbia un po’ di soldi (e anche chi ne ha pochi fa mutui e ipoteca la casa, e non è un modo di dire) manda i figli alla scuola privata. Nella classifica delle cento migliori scuole secondarie del Regno Unito, 87 sono scuole private e solo 13 pubbliche. Ma non basta: queste 100 migliori scuole secondarie rappresentano il 3 per cento del totale dei 3167 istituti superiori britanniche. Un terzo delle ammissioni a Oxford e Cambridge viene proprio da queste 100 scuole. Ma non basta ancora: cinque super scuole da sole mandano in media a Oxford e Cambridge più studenti che altri duemila istituti di tutto il regno messi insieme e di queste quattro sono private (tra cui Eton, solo maschile, la fucina di primi ministri).
E si potrebbe andare avanti, ma avete capito come funziona il sistema. Questi numeri parlano da soli e spiegano come la mitologica istruzione d’eccellenza inglese lo sia senza dubbio, ma solo per quei pochi che hanno la fortuna di nascere dalla parte giusta, possono pagare rette fino a 30mila sterline l’anno, accedere a costosi programmi di tutoring eccetera.
In questo panorama, la parola meritocrazia va modulata in maniera differente: a Oxford e Cambridge entrano sì i migliori, ma in questo sistema dove il collo di bottiglia è strettissimo. Ecco allora la rilevanza di una ricerca come questa. La domanda da farsi è: da dove vengono i nuovi 13 amministratori delegati non-Oxbridge? Dalle Università di Manchester, Sheffield, Bristol, Liverpool, Essex. Il sistema si sta diversificando, altre università sono in grado di attrarre studenti altrettanto meritevoli e che non riescono a passare dal collo di bottiglia sopra descritto.
Nicola Gardini, italiano, professore di letteratura italiana e comparata a Oxford (e autore tra le altre cose del fortunato Viva il latino, Garzanti) ci aiuta a capire. Oxford e Cambridge perdono l’aura? «Visto da dentro non si direbbe. Più che una perdita di rango di Oxford, vedo una rivalutazione delle altre università. Warwick, Bristol, Durham, York sono realtà in grande crescita. C’è stato un effetto diretto delle due grandi crisi finanziarie sugli assetti universitari. Ogni 5 anni in Gran Bretagna avvengono delle valutazioni nazionali sulla base delle quali si assegnano i fondi pubblici e queste università – tutte pubbliche - si sono mosse molto bene, con borse di studio e programmi che hanno innalzato il ranking e attratto studenti migliori». Anche Oxford e Cambridge sono università pubbliche, ma il sistema di selezione rimane comunque molto chiuso, conferma. «Il problema di Oxford è che si entra con esami di ammissione estremamente selettivi e gli studenti delle private seguono un programma di addestramento per superarlo, oltre a essere molto più preparati. Questo va a discapito anche di pochi bravi che ci sono nelle pubbliche. Non ci sono quote di statali e private, si prendono i migliori, e quindi la scelta viene da sé. Il livello di impreparazione dalle pubbliche è impressionante».
Se quel collo di bottiglia di "Oxbridge" è insuperabile, ben venga questa multipolarità dell’eccellenza dell’istruzione, che porta elasticità e diversità e anche una maggiore apertura di mente. Paradossalmente proprio nell’anno in cui Brexit vorrebbe ribadire la superiorità di una certa mentalità e di un certo establishment. Se il Paese è meno ossessionato da "Oxbridge", è un bene della democratizzazione e per la meritocrazia.