Corriere della Sera, 16 novembre 2020
Intervista a Pauline Ducruet
«Mamma Stéphanie. A lei per prima ho detto dell’idea di una collezione di moda. Siamo così uguali, lei mi chiama il suo Mini Me», racconta al Corriere Pauline Ducruet, 26 anni. «Lei è libera, indipendente, buona, chiede sempre “sei felice?”, ha a cuore la mia serenità...».
Quando Stéphanie nacque a palazzo nel 1965, 21 colpi di cannone annunciarono la terzogenita di Ranieri e Grace. Pauline è nata invece in ospedale, nel 1994, quello dedicato a nonna Grace. «Mamma non ha mai voluto crescerci con il peso dei titoli, e faccio fatica a vedere in mia nonna la diva, anche se riconosco l’icona di stile. Ci ha cresciuti in modo semplice, lontano dai riflettori. Fino a tre anni fa non ero neanche mai apparsa dal balcone della Rocca con i Grimaldi al completo, per la festa nazionale di Monaco, il 19 novembre. Ho studiato a New York, spesso ero lontana, e mamma ci ha sempre detto che eravamo liberi di decidere. Certo da lassù, tocca il cuore l’affetto dei monegaschi per il loro principe, zio Alberto, una grande famiglia...».
E con i suoi fratelli Louis (Ducruet) ma anche Camille (Gottlieb) che rapporto c’è?
«Camille è piena di iniziative e con Louis, manager sportivo, ho un rapporto speciale, siamo come gemelli. Mamma ha indossato un mio abito Alter al sì di Louis con Marie Chevallier, beh nel suo armadio c’è tutta la mia collezione. Ed è lei col suo amore per la semplicità, ad avermi ispirato sin da piccola attenzione per la natura e la sostenibilità che cerco di trasferire nei capi».
Vero che in campagna avete una fattoria di animali? E come traduce in moda questa sensibilità per la natura?
«Abbiamo sempre vissuto circondati da molti animali... pure due elefanti fino a un anno fa, ora ne è rimasto uno salvato da mamma da uno zoo. Quanto alle mie scelte di moda, le stesse dei ragazzi della mia generazione, amo gli abiti di seconda mano, non mi piace il poliestere che inquina, né il fast fashion. E disegnerò una sola collezione l’anno. Scelta sostenibile».
Come è stato il lockdown?
«È duro vedersi portar via la libertà ma la crisi ci insegna a essere più responsabili».
Dove crea gli abiti?
«I primi pezzi a New York, con denim upcycling, solo jeans rigenerato. Ora in Portogallo, in Francia e alcune cose in Italia con lane italiane Loro Piana per esempio... mi piace molto anche la seta italiana».
Anche mamma Stéphanie firmò una collezione moda.
«Era giovanissima quando lanciò la linea Pool Position, meno di vent’anni, io ho seguito un percorso, ho studiato a Parigi alla scuola Marangoni e a New York alla Parsons. Ora mi sto trasferendo in Europa, tra Monaco e Parigi dove la collezione ha sfilato la prima volta un anno fa, e c’era tutta la mia famiglia. Mamma e pure papà, lui fa parte di me: c’era alla prima sfilata a Parigi come quando mi tuffavo ai Summer Youth Olympics a Singapore. L’agonismo sportivo è scuola di vita, provo a mettere questi insegnamenti nel progetto Alter che vorrei portare alla Milano Fashion Week e in vetrina a Milano, Firenze, Londra... Poi c’è l’e-commerce www.alter-designs.com dove a dicembre debutta la collezione 2021: capi genderless, la moda è libera».
Moda italiana, cosa ama?
«Tutto, l’estetica, la precisione delle linee, ho un debole per Valentino disegnato da Pierpaolo Piccioli e adoro Prada: i capi di Miuccia Prada e Raf Simons sono così metropolitani, così milanesi».
Carolina, sua zia, disse «una principessa deve giustificarsi sempre». Perché lavorare, per giustificarsi?
«Solo perché sin da piccola dicevo: oggi metto questo non quello, e ho continuato a sentire la moda parte di me».