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 2020  novembre 16 Lunedì calendario

Il caso dell’attrice tunisina Aicha, single e incinta

«Dicono che è questo è figlio dell’haram (il peccato), una parola che non mi piace per nulla. Che colpa ha mia figlia? La chiamerò Maya».
Un post su Instagram, una foto della pancia nuda e arrotondata e un annuncio di una gravidanza fuori dal matrimonio. A firmarlo è Aicha Attia, 29 anni, attrice tunisina, abbastanza nota nel Paese. Il racconto prosegue con la confessione di essere rimasta incinta di un uomo che diceva di amarla ma poi è sparito.
Dopo poche ore (e molti like) si è scatenato il dibattito. Il Paese è all’avanguardia dal punto di vista legislativo in materia di parità di genere rispetto al mondo islamico. Ma ancora è considerato disdicevole che una donna abbia una relazione al di fuori del matrimonio. «Io posso mantenere mia figlia, ma altre ragazze che non sono in grado di farlo cosa potrebbero fare? Uccidere un innocente? Buttarlo per strada?», scrive ancora lei.
Immediatamente sono partite speculazioni sulla possibilità che l’annuncio fosse una trovata di marketing per supportare associazioni e ong che si occupano di assistere i figli delle madri single. Ma alcune di queste hanno respinto l’idea puntando il dito contro Aicha, rea – a loro dire – di aver falsificato con Photoshop la propria immagine e di aver voluto farsi pubblicità. In alcune trasmissioni e dibattiti radio e televisivi Aicha è stata accusata da uomini vicini alla Fratellanza Musulmana di incitare le donne ad avere relazioni sessuali illecite.
Sabato la TV egiziana privata Youm Sabie ha intervistato l’artista che ha dato la sua versione dei fatti. L’attrice non ha voluto confermare di aspettare un bambino, ma non ha neanche smentito la gravidanza e ha rimandato il tutto «ad una fase successiva quando le questioni private saranno più chiarite». Ha detto anche di non aver voluto fare uno spot pubblicitario e di non essere alla ricerca della notorietà (è abbastanza nota nel mondo arabo e ha ottenuto diversi ruoli in film di altre nazioni, non solo la Tunisia). Ma ha sottolineato di essere «intenzionata a sollevare la questione delle ragazze madri che partoriscono fuori dal matrimonio. Soffrono due volte: per l’inganno maschile e per l’emarginazione sociale e la criminalizzazione di alcune nazioni del mondo arabo e islamico». Poi l’affermazione di aver deciso di pubblicare questa storia perché vera e capitata ad una sua amica.
Al di là della veridicità della gravidanza, il post ha avuto il merito di sollevare un tema importante. In alcune nazioni dove si applica la sharia, le ragazze madri vengono accusate di zina, cioè rapporti fuori dal matrimonio e vengono punite con la frusta. Un caso emblematico è stato quello di Safyia Husseini, donna nigeriana che dopo essere stata violentata ha dato alla luce una bambina. Mentre il padre è stato assolto, lei è stata condannata in primo grado a morte. Ed è solo dopo un imponente campagna internazionale che il suo verdetto è stato rovesciato in appello.
Nella maggior parte di questi casi però non si arriva ai processi, perché la donna – spesso con la collaborazione della madre o qualche altra donna anziana – abortisce clandestinamente in casa con l’aiuto di qualche mammana. Oppure accade che gli uomini della famiglia uccidano la donna per «lavare l’onta» e salvaguardare l’onore della famiglia. Crimini che in molte legislature sono giudicati con attenuanti, ammesso che vengano perseguiti. Le donne ne sono vittime non solo in sperduti villaggi, ma anche in grandi città, da Amman al Cairo, da Kuwait city a Bagdad. E forse il post di Aicha può aiutare a combatterli.
(Ha collaborato Farid Adly)