la Repubblica, 15 novembre 2020
Marshall, il portiere in bilico fra gioia e precipizio
Qualcuno riuscirebbe a immaginare Marco Tardelli che segna con la Germania nell’82 poi rimane fermo per 4 o 5 secondi annusando l’aria, quindi esplode nell’urlo che lo ha reso indimenticabile? Probabilmente no. È l’immediatezza a fare da detonatore. Segni, esulti. Per chi non abbia mai fatto gol in una finale dei Mondiali, si pensi alla sensazione più vicina: un orgasmo. Sta succedendo, ma: scusa Ameri, aspetta, vediamo se è proprio così, uno, due, tre, quattro, cinque, va bene, vai! Sarebbe la stessa cosa?
Tutto questo per dire che l’immagine della settimana, quella più trasmessa e condivisa ritrae un portiere, David Marshall della Scozia, mentre non fa assolutamente niente, guarda e aspetta. Eppure è appena accaduto qualcosa di straordinario. Siamo al Marakana di Belgrado. Si giocano i play-off per l’ammissione alla fase finale degli Europei tra Serbia e Scozia (che manca a una ribalta internazionale dai Mondiali del ’98). La partita è di quelle che spezzano il cuore. La Serbia pareggia al 90’. Rigori. Nella semifinale la Scozia aveva superato così Israele: parata decisiva di Marshall, ma era sembrata più importante l’ultima, fredda trasformazione di McLean. Qui McLean si ripete, fa 5 su 5, ma tutto passa nelle mani di Marshall. Rincorsa di Mitrovic, tiro: parata. Di quelle nette: tuffo e respinta. Marshall si rialza ma non grida, non corre verso i compagni ammucchiati a metà campo. Guarda di lato, dove c’è lo schermo del Var. Rivolge gli occhi al cielo, dove siedono contemporaneamente la sua divinità e i controllori al video. Nel suo sguardo c’è una domanda implicita. Chiude quattro dita e mostra i pollici: «Va bene? Posso? Sono un eroe?».
Il volto scomposto di Tardelli e quello gelato di Marshall sono i due lati della stessa medaglia. Marshall è Tardelli in divenire. Non fosse che l’attesa lo consegnerà ai posteri nella fase precedente, come era Tardelli nel momento in cui impattava il pallone (sempreché i fuoriclasse non conoscano i destini delle traiettorie). Non è un’immagine, è un documento: un uomo in bilico sul precipizio della felicità. Il Var è una cosa crudele. Ha messo questo intervallo tra l’evento e l’emozione. In quel tempo sospeso non sappiamo più se credere, se lasciarci andare.
Affiora lo spettro della delusione. È una sensazione che si diffonde a tutti i casi della vita che necessitano di una verifica o a cui viene imposta. Crea un limbo nel quale vaghiamo aspettando di sapere se si è battuta la Serbia o mandato a casa Trump. Ed è in quel tempo che, come appare nello sguardo di Marshall, occorre aver pazienza e fede.