Robinson, 14 novembre 2020
Biografia di Matilde Serao
«Buongiorno, amica lettrice: amico lettore, buongiorno. Dopo la parola semplice, diciamo anche l’idea semplice: nulla mi fa più piacere di potervi salutare un’altra volta, non già idealmente, non già in ispirito, ma con caratteri neri sulla carta bianca, dalle colonne di un giornale».
Così inizia la rubrica che Matilde Serao firmerà per tutta la vita, portandosela con sé da una testata all’altra per le quali lavorerà, perché quello che conta è la voce, e la sua era ronzante e pungente come il titolo che diede alla rubrica: “Api, mosconi e vespe”.
Al cospetto di questa donna intraprendente, viva e volitiva, accesa, infaticabile, gli uomini del mondo intellettuale di fine ottocento si divisero. Cercarono di sotterrare il suo stile sotto critiche feroci, come fece Renato Serra, autorevole critico letterario dell’epoca, oppure dovettero ammetterne il valore, come Benedetto Croce che, in un saggio del 1903 le riconosceva una «fantasia mirabilmente limpida e viva». D’Annunzio le dedicò un libro, Carducci disse che era «la più forte prosatrice d’Italia», e certo lei di questo giudizio tutto maschile non se ne fece nulla, perché quello che più le interessò rappresentare, con il suo lavoro, era la libertà del pensiero e la possibilità di esprimerla ad alta voce. L’aveva conosciuta tardi, quella voce, secondo i nostri parametri: aveva imparato a leggere e a scrivere a otto anni, autodidatta, durante una gravissima malattia della madre. Era nata a Patrasso, nel 1856, perché suo padre, giornalista anche lui, vi era stato costretto esule per le sue posizioni antiborboniche. Al loro rientro in Italia, dopo l’Unità, Matilde aveva studiato come maestra e poi si era impiegata ai telegrafi di stato, lavoro con cui manteneva anche la famiglia. Ma lei voleva scrivere: «Dal primo giorno che ho scritto, io non ho mai voluto né saputo essere altro che una fedele e umile cronista della mia memoria». E più di tutto voleva scrivere sui giornali: a venticinque anni si trasferisce a Roma dove diventa la prima donna redattrice del Capitan Fracassa. Nel 1883 pubblica il primo romanzo, Fantasia che le viene criticato con rabbia da Edoardo Scarfoglio, e forse chi disprezza vuol comprare, e comunque a lei poco importa (lo dirà sempre: che sono proprio quel «linguaggio incerto» e «quello stile rotto» a infondere nelle sue opere un calore che «non solo vivifica i corpi ma li preserva da ogni corruzione del tempo»): è una cosa che annotano i biografi perché due anni dopo si sposeranno. In dieci anni partorisce quattro figli, tre romanzi e un giornale Il corriere di Napoli su cui Serao chiama a scrivere Carducci e D’Annunzio. Lei stessa intanto, all’estero, su La revue blanche è editorialista assieme a Proust e Apollinaire.
Sono anni in cui scrive le opere sue più conosciute: quello che forse è uno dei primi reportage giornalistici dell’Italia unitaria, Il ventre di Napoli, del 1884, una passeggiata antropologica tra i bassifondi della città più complicata d’Europa, con lo sguardo preciso del cronista e la parola pietosa della scrittrice. E un romanzo che resta attualissimo sul banco lotto: Il paese di cuccagna del 1891.
Il corriere di Napoli — di un imprenditore livornese – fallisce, la coppia Serao- Scarfoglio ( hanno 36 anni lei, 32 lui) investe la liquidazione di 86 mila lire nella fondazione di un nuovo giornale, Il Mattino, che esce per la prima volta il 16 marzo del 1892. La data è importante perché è un momento in cui in città esistono già dieci quotidiani su una popolazione di 500.000 abitanti, di cui soltanto 100.000 sapevano leggere. In poco meno di 10 anni Il Mattino raggiunge una tiratura di 33.000 copie, arriverà poi a 70 mila (il Roma vendeva 20.000 copie, Il Corriere di Napoli 15.000). Le scelte di Matilde Serao sul giornale sono evidenti: da scrittrice, ne cura le pagine culturali, e già dal secondo numero compaiono in appendice Bel Ami di Maupassant, i Fratelli Karamazov di Dostoevskij, Pierret di Balzac e il Trionfo della morte di D’Annunzio.
Matilde stessa, condirettrice, vi scrive ogni giorno. Vi crede profondamente: «Giornale è tutta la storia di una società. E, come la vita istessa, di cui è la immagine, (…) ha in sé il potere di tutto il bene e di tutto il male (…). Il giornalista é l’apostolo del bene (…) il giornale è la più nobile forma del pensiero umano (…). L’avvenire è del giornale» Scarfoglio invece è infedele, Serao lo sa, dopo un litigio furioso se ne va per qualche tempo in Val D’Aosta, e lui in quel periodo inizia una relazione con una danzatrice parigina, venuta a Napoli per lavorare, Gabrielle Bessard. Dalla relazione nascerà una bambina ma Bessard non lascia Serao e i due tornano a vivere assieme a Napoli, quando accade la tragedia che più assomiglia a quelle vite che i coniugi raccontavano ogni giorno sul loro quotidiano. Nell’agosto del 1894 Gabrielle Bessard bussa alla porta di casa Scarfoglio- Serao, lascia la bambina nelle mani della governante e si spara un colpo di pistola alla tempia. Muore qualche giorno dopo in ospedale. Mentre Napoli impazzisce per lo scandalo e Scarfoglio forse per la vergogna, Matilde Serao accoglie la bambina ( la chiamerà Paolina, come sua madre) e se la cresce tra i suoi figli. Poi, finalmente, lascia Scarfoglio. Alla fine della relazione si accompagna, qualche anno dopo, il volontario allontanamento da Il Mattino e un racconto lungo, sarcastico, divertente, su una donna che per puro caso non riesce mai a tradire il marito pur volendolo a tutti i costi: La virtù di Cecchina del 1906, molto amato dalla critica. Fonda un nuovo giornale, Il Giorno di Napoli, trova un nuovo compagno, Giuseppe Natale, avvocato e giornalista, e viene candidata sei volte al Premio Nobel, senza vincerlo mai. Era dichiaratamente contro i nazionalismi e la guerra e forse questo ebbe un peso per la sua candidatura in epoca fascista. L’ultima volta che il suo nome fu proposto per il Nobel fu il 1926, quando lo vinse Grazia Deledda. Morì l’anno dopo di infarto, al suo tavolo di lavoro: scrivendo.