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 2020  novembre 14 Sabato calendario

Sui racconti di Angela Carter

«Presto avrò bisogno di note a fondo pagina, se voglio essere capita da quelli sotto i trentacinque». Angela Carter scherza sulla sua fortuna a venire, in un racconto intitolato Patchwork, l’ultimo della raccolta Nell’antro dell’alchimista ( il secondo volume ora da Fazi, il primo era uscito l’anno scorso). Tra tutti il più autobiografico, cucito con le pezze della sua vita: il fascino del Giappone, dove era andata nel 1969 grazie al Somerset Maugham Award; l’henné per colorare i capelli; l’avvicendarsi di due mariti; i quarant’anni più vicini alla morte che alla nascita (il racconto è del 1981, la scrittrice era nata a Eastbourne del 1940); la pelle che comincia a incresparsi in «piegoline di chiffon». È morta nel 1992. Nell’affettuosa prefazione Salman Rushdie la ricorda già ammalata ma ancora in vena di black comedy, per via di un’assicurazione sulla vita: aveva pagato solo poche rate, figlio e marito avrebbero ricevuto «una fortuna». I suoi racconti sono strepitosi, ricchi di dettagli, carichi di rimandi raffinati, a volte barocchi a volte gotici (da qui la battuta sulle note a fondo pagina). Non se ne trova uno uguale all’altro.
Non si somigliano tra loro neppure i romanzi di Angela Carter, in cima alla lista Figlie sagge (anche questo da Fazi, che li sta ristampando uno a uno). Scatenata fantasmagoria che a partire da William Shakespeare racconta i gemelli Melchior e Peregrine Hazard, i loro amori e l’intricata discendenza. I figli legittimi recitano in teatro, gli illegittimi finiscono nell’avanspettacolo prima e al cinema poi.
Tornando a questi racconti, in Venere nera visitiamo un interno casalingo con un gatto color basalto. E la maestosa Jeanne Duval, l’amante haitiana di Charles Baudelaire che qui ha tutti i connotati di uno “sugar daddy” e viene chiamato” papino”. Non vuole tornare «nella maledetta foresta dei pappagalli» dove è nata, vorrebbe mettersi in proprio ma ha solo «un’idea vaga del suo valore d’uso», quindi resta lì, a ballare nuda davanti al poeta vestitissimo. Angela Carter la immagina anni dopo, nei Caraibi dei suoi antenati, mentre spaccia «a un prezzo piuttosto contenuto, signore e signori, la vera autentica, genuina, baudelariana sifilide». Fulminante commento ai Fiori del male, e puntuale disegno delle relazioni pericolose che i decadenti intrattenevano con donne, droghe, malattie veneree.
Il gioco delle rivisitazioni continua con la Moll Flanders di Daniel Defoe e con Edgar Allan Poe: cresciuto nel camerino di un teatro, la mamma lo teneva tranquillo dandogli come succhiotto il fazzoletto imbevuto nel gin. Le letture psicoanalitiche attorno allo scrittore morto di coma etilico sono insopportabili. Angela Carter scavalca gli ostacoli e le banalità, per atterrare là dove si strappano i denti alla fanciulla morta. L’orrore che oggi chiameremmo splatter, se non fosse entrato nella storia letteraria (intanto Stephen King fa un passo avanti verso il posto che gli spetta: grande scrittore del Novecento).
Le favole – ribaltate per dar potere alle ragazze – erano in La camera di sangue ( da ricuperare nel primo volume): ora le fanciulle sconfiggono orchi e barbablù. Qui abbiamo «un’ouverture e accompagnamento musicale» per Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare. Il maestro amava i doppi sensi (infatti resiste benissimo a Baz Lurhmann, che nel film Romeo + Giulietta fa amoreggiare Leonardo DiCaprio e Claire Danes in piscina). Angela Carter gareggia in allegre oscenità. Nel bosco il tempo è schifoso, «le fate si sono prese il raffreddore perché non sanno dove tenere i fazzoletti». Entrano Hermy, ermafrodito luccicante di lamine d’oro, e Puck, imparentato con il dio Pan. Ormai anche i folletti stanno al passo con i tempi, e Puck insidia pesantemente Hermy.
Lizzie Borden rievoca l’assassina che nel 1892 uccise il padre e la matrigna: «Faceva caldo, vostro onore, e non sopportavo più un genitore tirchio che pisciava sugli alberi di pero e mi condannò allo zitellaggio». «Con un’accetta» dice la canzoncina per bambini (vittoriani, ora sarebbe vietata ai minori – una ricerca recente ha confermato che metà delle rime sono piene di morti violente). In un altro racconto, la piccola Lizzie scappa per vedere il circo – altra passione di Angela Carter ( anche Notti al circo è stato appena ristampato da Fazi, tutto è pronto per incantare i lettori che se la sono persi al primo giro). Lizzie e la tigre sta nella sezione Fantasmi americani, assieme a qualche storia western. Per esempio, l’audace intreccio tra il John Ford commediografo elisabettiano e il John Ford americano. Peccato che sia una puttana, tragedia del Ford seicentesco, si intreccia con un copione affidato al regista novecentesco (si parla di incesto nel dramma, un po’ incestuosa è anche l’operazione). Sgualdrina, addolcivano i primi traduttori, e anche i dialoghisti di Hollywood.
Bambole dal passato scabroso abitano Il padiglione nella neve ( con una stoccata ai poetastri che si sdilinquiscono per qualsiasi cosa). In un altro racconto, incontriamo Alice che fa gli indovinelli e l’uomo di latta rubato al Mago di Oz. Accade «a Praga, capitale della paranoia»: una delle formule magiche che entrano in testa e non se ne vanno più.