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 2020  novembre 14 Sabato calendario

Un Klimt rubato e troppi misteri

Una studentessa di liceo, due sessantenni mitomani, Bettino Craxi, un paio di giardinieri: si mescolano tanti e diversi personaggi in questa storia da film. E corde, ganci, lucernari, intercapedini. C’è un Arsenio Lupin del piacentino, ancora senza volto, e c’è un quadro trafugato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza in un uno stupido sabato di febbraio del 1997, poco prima dell’inaugurazione di una mostra. Ritratto di signora di Gustav Klimt. Ritrovato per caso, da due giardinieri impegnati nelle pulizie, in uno stupido martedì di dicembre del 2019.
Era ficcato in un sacco e nascosto in un incavo della parete esterna della galleria. Riautenticata, la tela di Klimt sarà esposta nel salone d’onore del museo piacentino dal 28 novembre (inaugurazione in streaming, e poi chissà). È comunque un’occasione per ricostruire una vicenda che si estende su un secolo di storia.
Comincia quando, negli anni Venti del secolo scorso, il fondatore della galleria di Piacenza, avendo per tramite un architetto, riesce ad acquistare un olio su tela, una «mezza figura di donna» che Klimt dipinse nel 1917.
Otto decenni dopo, una ragazza vicina alla maturità, Claudia Maga, armata di un fascicoletto sui grandi dell’arte, nota la somiglianza di quel dipinto con uno precedente, fotografato a Dresda e dato per smarrito. Le differenze sono minime: un cappello in più o in meno, una sciarpa, il colore dell’abito. Un’approfondita ispezione scientifica – raggi X, ultravioletto, fotografia della fluorescenza – dimostrerà che «sotto la superficie visibile del Ritratto di signora vi erano evidenti tracce di un precedente lavoro». Che si rivela essere proprio quello alla base dell’intuizione della studentessa – lo stesso volto di donna giovane, che Klimt aveva deciso di rimaneggiare.
La comunità degli studiosi – e quella piacentina – non fa in tempo a festeggiare che della tela, a questo punto ancora più preziosa, si perdono le tracce. Un paio di mesi dopo il furto, una copia del dipinto viene ritrovata a Ventimiglia, in un pacco indirizzato – chissà perché – a Bettino Craxi, Hammamet. Niente.
Quando, nel dicembre 2019, i giardinieri la ritrovano casualmente, chiusa in un sacco della spazzatura, qualcuno si fa vivo con il quotidiano locale: «Noi siamo gli autori del furto del Ritratto di signora di Klimt e abbiamo fatto un regalo alla città restituendo la tela», scrive un sessantenne che chiama in correità un suo coetaneo. Due ladri mitomani che speravano, facendo professione di nobile generosità, di avere qualche sconto di pena per una cospicua sequenza di furti messi a segno nella zona. Molte domande restano aperte: sugli effettivi autori del furto, sul perché l’opera sia stata fatta ricomparire. E, molto più indietro nel tempo, sulle ragioni che spinsero Klimt a sovraimprimere il secondo ritratto di donna sul primo.
Per provare a rispondere, lo scrittore Gabriele Dadati – piacentino e con un’esperienza alla Ricci Oddi – ha costruito la sua pista a metà fra ipotesi romanzesca e cronaca.
Il libro, La modella di Klimt (Baldini+Castoldi), si apre con l’autore stesso, impegnato nell’allestimento di una mostra, che riceve un messaggio inatteso. «Mistero alla Ricci Oddi, quadro in un ripostiglio: potrebbe essere la Signora di Klimt». Come era sparito nell’imminenza dell’inaugurazione di una mostra, così riappare nella stessa situazione – una delle tante misteriose coincidenze.
«Negli anni – scrive Dadati – erano arrivate segnalazioni qua e là dall’Europa, e l’ultimo informatore che aveva tentato di farsi pagare per favorirne il recupero aveva comunicato alla polizia che la tela si trovava in Spagna. Ora a Piacenza circolava l’ipotesi che non avesse mai lasciato la città». Che a farla ritrovare siano stati gli eredi di un collezionista in difficoltà con un’opera così ingombrante? Dadati immagina la fisionomia e i connotati del ladro: tanto più che – come racconta nella nota finale – è finito anche lui in questura come persona informata sui fatti.
A lungo collaboratore di Stefano Fugazza, che diresse la Ricci Oddi dal ’93 fino all’anno della sua morte, il 2009, Dadati mescola memoria e immaginazione. E sposta indietro il cursore temporale fino a mostrarci un Klimt che, nella Vienna dei primi anni Dieci del Novecento, si trova a corto di modelle. Chi è dunque la ragazza che Klimt dipinge due volte, e che lo osserva – vestita, insolitamente – accanirsi sulla tela usando entrambe le mani? Il pittore incipria il volto della ragazza, le disegna un neo sulla guancia sinistra, mette in moto la fantasia. E lei diventa per lui una sorta di assistente, una ancella sollecita, un’ospite speciale.
Come ha già fatto per Canova, Dadati fa rivivere Klimt nel suo atelier, invaso fisicamente dall’energia tempestosa, ossessiva del talento, e cerca una ragione – se non vera, verosimile – dietro al gesto, altrettanto ossessivo, di chi ha trafugato il quadro. Ne risulta una doppia, misteriosa storia d’amore e morte – un po’ come doppia è la natura del Ritratto di signora. I lucidi capelli neri, la veste chiara, decorata da fiori «tracciati con le rapide pennellate tipiche dell’ultimo periodo dell’artista». E quello sguardo acquoso, malinconico – sincero come una confessione.