Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2020
Brexit, l’uscita di Cummings avvicina un’intesa
Dopo il gatto è stata fatta fuori anche la volpe. La lotta di potere a Downing Street ha fatto una seconda vittima in due giorni con l’annuncio del licenziamento di Dominic Cummings, il consigliere capo del premier Boris Johnson. Lascerà l’incarico per Natale, è stato annunciato in un primo tempo. In realtà le dimissioni avrebbero effetto immediato: come confermerebbe l’immagine di Cummings fotografato ieri sera mentre con uno scatolone in mano lascia Downing Street. Per sempre.
Ieri il suo braccio destro, Lee Cain, aveva dato le dimissioni da direttore delle comunicazioni dopo che la sua promozione a chief of staff, caldeggiata da Johnson, era stata bloccata dal fronte rivale. A guidare la rivolta contro Cummings e Cain è stata la fidanzata del premier Carrie Symonds, ex responsabile delle comunicazioni del partito conservatore, preoccupata per l’influenza eccessiva che i due consulenti avevano su Johnson.
La faida interna nell’ufficio del premier è importante per due ragioni. In primo luogo punta i riflettori su un governo squassato da rivalità interne in un momento particolarmente grave per il Paese, con l’economia in crisi, la disoccupazione in aumento e il record di morti per coronavirus in Europa, con oltre 50mila vittime e la situazione ogni giorno più grave.
Al centro la figura di Johnson, che sta perdendo popolarità tra gli elettori e anche all’interno del partito conservatore per la sua gestione ondivaga e caotica sia dell’emergenza sanitaria che della transizione verso l’uscita dalla Ue il primo gennaio.
Brexit è l’altra ragione per cui l’uscita di scena di Cummings ha un’importanza che va oltre il buon funzionamento dell’ufficio del premier. Il consigliere era stato il regista della campagna Leave, a favore di lasciare la Ue, che ha portato alla vittoria di Brexit nel referendum del 2016.
Era stato lui a indovinare la strategia e a coniare lo slogan efficace e chiaro della campagna, «Take back control», «Riprendiamoci il controllo», che ha dato un contributo decisivo al successo di Leave. Fanaticamente eurofobo, era stato definito «uno psicopatico di professione» dall’allora premier David Cameron.
Dal 2016, assieme al suo alleato Cain, è stato l’ombra di Johnson, aiutandolo più di recente a vincere le elezioni del dicembre 2019 puntando soprattutto sulle zone economicamente depresse e tradizionalmente laburiste del Nord dell’Inghilterra. Cummings, che viene dalla cittadina settentrionale di Durham, ha indovinato che il “muro rosso” del nord si sarebbe sgretolato, conquistando decine di nuovi deputati per i Tories e la maggioranza assoluta per Johnson in Parlamento.
Una volta al Governo, però, Cummings si è trovato in conflitto con i funzionari di carriera e con i moderati nel partito per i suoi metodi bruschi e la determinazione a rivoluzionare dall’interno il modus operandi di Downing Street. Un numero crescente di deputati conservatori e ministri si sono trovati messi da parte, criticati e scavalcati da Cummings e Cain, consulenti non eletti che rispondevano solo a Johnson. Il grande stratega di Brexit è stato soprannominato Rasputin per la sua influenza sul premier, da molti ritenuta eccessiva e pericolosa.
Cummings era stato al centro di uno scandalo durante il lockdown in primavera, quando aveva violato il divieto di viaggiare e, temendo di essere positivo, invece di isolarsi aveva guidato per centinaia di chilometri per portare la famiglia a Durham. Johnson, nonostante il coro di critiche al comportamento del suo consigliere che non rispettava le leggi da lui stesso imposte, si era rifiutato di licenziarlo, accentuando i timori di chi lo considerava troppo dipendente da Cummings.
Oltre a voler trasformare la politica interna britannica, Cummings è rimasto il grande sostenitore di una Brexit dura e pura, deciso a non fare concessioni alla Ue durante i negoziati, preferendo l’opzione di un “no deal” a un compromesso che considera umiliante per la Gran Bretagna. Con la sua uscita di scena Johnson potrebbe essere più accomodante verso la Ue, rendendo più facili i negoziati in corso tra Londra e Bruxelles.
L’elezione a presidente degli Stati Uniti di Joe Biden è un incentivo ulteriore a seguire la strada della moderazione. Biden, di origine irlandese, al contrario del predecessore è sempre stato fortemente contrario a Brexit, ammira la Ue e intende tutelare gli accordi di pace del Venerdì Santo minacciati da un possibile ritorno del confine interno tra le due Irlande.
Il futuro presidente ha dichiarato senza esitazioni che gli Usa non sigleranno un accordo commerciale con la Gran Bretagna se Johnson non troverà un accordo con la Ue e opterà per un “no deal”. I negoziati bilaterali riprenderanno lunedì a Bruxelles. Con Biden a Washington e senza Cummings a Downing Street, Johnson potrebbe scendere a più miti consigli.