La Stampa, 14 novembre 2020
I norvegesi contro i pozzi di petrolio
Guance arrossate, maglioni di lana spessa, trecce bionde e occhi sorridenti che spuntano dalle mascherine. Emma, Thor e Andreas entrano ed escono dalla Corte Suprema di Oslo. Sono poco più che ragazzini, ma sono riusciti nella «grande impresa»: hanno trascinato la Norvegia in un’aula di tribunale. Vogliono fermare le nuove perforazioni petrolifere nel Mar di Barents, la principale fonte di ricchezza del Paese. E lo vogliono fare appellandosi ai diritti sanciti dalla Costituzione che protegge l’ambiente e «il nostro futuro». Di fatto, ancora prima della sentenza – attesa per fine dicembre – hanno già segnato un punto a loro favore: hanno spinto il cosiddetto «paradosso di Oslo» davanti ai 19 giudici, in quello che la stampa norvegese definisce «il caso del secolo».
L’articolo 112 della Costituzione norvegese stabilisce infatti che ogni cittadino ha diritto a un ambiente naturale che salvaguardi la salute. E nessuno, come i Paesi nordici, prende più seriamente l’impegno contro i cambiamenti climatici. Allo stesso tempo la ricchezza della Norvegia si basa sull’estrazione di petrolio e di gas, di cui è primo esportatore europeo dopo la Russia. È il petrolio che, a partire dagli Anni 70, ha trasformato un Paese di pescatori in una superpotenza economica. Ecco il paradosso.
Sarà dunque la Corte Suprema che dovrà decidere se la Norvegia tradisce i propri principi costituzionali. E, dicono i giuristi, l’esito non è per nulla scontato: la Norvegia potrebbe essere costretta a eliminare gradualmente le attività di esplorazione petrolifera, pietra angolare della sua economia.
Tutto è iniziato con i «ragazzini» dell’associazione ambientalista Natur og Ungdom (Natura e Giovani) che si sono alleati con l’associazione dei Nonni contro il cambiamento climatico e Greenpeace Norvegia. L’età media dei membri di Nu è 17 anni, «ma il consenso sulla battaglia che stiamo portando avanti è trasversale» dice Andreas Randøy, 23 anni, vicepresidente.
Chiunque in Norvegia lavora o ha qualche conoscente che lavora nel settore petrolifero. Qui il petrolio è un argomento delicato. L’industria estrattiva, di proprietà dello Stato, ha il merito di aver trasformato un Paese povero in una Nazione che possiede il più grande fondo sovrano del mondo. Si calcola che se tutti i norvegesi smettessero di lavorare, potrebbero vivere dei soldi del petrolio per almeno tre anni. Le stime dicono che l’industria estrattiva rappresenti circa lo 0,7% delle emissioni globali da combustibili fossili, e che la produzione di gas serra pro capite sia di 100 volte superiore alla media mondiale. Eppure la Norvegia ha credenziali ecologiche impressionanti. È stata la prima nazione industrializzata a ratificare l’accordo di Parigi, il 42,4% delle automobili vendute nel 2019 erano elettriche, gli investimenti nelle rinnovabili non hanno eguali, e Oslo è anche uno dei principali donatori del Green Climate Fund, che finanzia iniziative ambientali nei Paesi in via di sviluppo.
«Ma la Norvegia con il suo petrolio, che vende in tutto il mondo, sta anche contribuendo a un cambiamento climatico devastante – dice Andreas Randøy -. Le nuove licenze per l’esplorazione petrolifera nell’Artico approvate nel 2016 violano l’obbligo costituzionale di garantire un ambiente pulito per i suoi cittadini e le generazioni future». Andreas, e con lui le 600.000 persone che sostengono la battaglia, è pronto a rinunciare a un po’ di questa ricchezza: «Andiamo, non saremo poveri. E anche lo fossimo vogliamo tornare ad essere un modello, un Paese del welfare alla scandinava in tutti i sensi». I ragazzi di Nu parlano anche di numeri: «Il mondo entro il 2050 sarà diverso, i milioni investiti oggi nelle trivellazioni sono anacronistici, presto fuori mercato».
La Russia, intanto, che nell’Artico ha mire e interessi enormi aspetta, e spera. Se le licenze di esplorazione del Mare di Barents dovessero essere contrarie all’articolo 112 «è difficile vedere quali parti della politica petrolifera norvegese non lo sono», ha scritto l’ufficio del procuratore generale.