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 2020  novembre 13 Venerdì calendario

Intervista a Makkox

«Ma tu da dove spunti a quest’età, qual è la tua storia?». A Makkox, al secolo Marco Dambrosio, classe 1965, professione disegnatore satirico e autore televisivo, l’ha chiesto una volta Giuliano Ferrara incontrandolo in treno. Se lo chiedono forse i lettori dei giornali che pubblicano le sue vignette - Il Foglio (appunto), L’Espresso, il Post - e gli spettatori di Propaganda Live, il programma di La7 dove Makkox è da anni il contraltare fisso del conduttore Diego Bianchi-Zoro. E se lo chiedevano i frequentatori di quella che allora si chiamava blogosfera, quando intorno al 2007 cominciarono a circolare in rete certe vignette popolate di uomini dalla testa di papero, scheletrini vitalissimi, animali che parlavano in romanesco; e certe originalissime strip verticali, che si leggevano “scrollando” verso il basso la finestra del browser. Storie che facevano morire dal ridere e alla tavola dopo colpivano allo stomaco, un tratto e una costruzione del racconto che ricordavano i grandi del fumetto: chi è ’sto genio? era la domanda che correva sui social. E “genio” è rimasto l’appellativo con cui Zoro omaggia e sfotte Makkox in trasmissione fin dalla prima puntata.
A rispondere almeno in parte a queste curiosità arriva Nuove mappe del paradiso (People), 240 pagine di “autobiografia ucronica” scritte con Nicola Mirenzi e intervallate da disegni e storie a fumetti realizzati, per una volta, con il pennarello su carta e non con l’amata tavoletta grafica. L’infanzia  nella provincia pontina, la scuola lasciata presto, i mille lavori ("quando vai in giro a dire che ti va bene tutto vuol dire che non sai fare niente, e quindi becchi solo la peggio fatica"), fino alla relativa agiatezza come comproprietario di una società che faceva soprattutto volantini per supermercati. E sempre la passione ossessiva per il disegno, prima riversata – gratis – in rete e adesso diventata un mestiere.
A leggerti sembra che ancora non ci credi a quello che ti è capitato.
«Lo trovo strano. Non ho perseguito la carriera di autore televisivo o di vignettista politico, nemmeno quella di fumettista. In realtà il mio vero talento, “la morte mia”, sono le strisce per il web. Diciamo che tutto il resto lo faccio per pagarmi la libertà di fare quelle. Solo che poi mi manca il tempo».
Però dalla nicchia della rete sei arrivato addirittura a una convocazione al Quirinale.  
«Una scena assurda, io con i miei soliti jeans e una cravatta presa in prestito che vengo accompagnato attraverso una serie di stanze sempre più  piccole fino allo studio del presidente. Mi sembrava di essere all’ultimo livello di un videogioco, davanti al mostro finale. Difficile immaginare due persone più diverse di me e Mattarella, è stato un incontro tra alieni».
Al presidente era piaciuta la tua vignetta sul ragazzo maliano ritrovato dopo un naufragio sul fondo del Mediterraneo: era partito con la pagella cucita ai vestiti, per poter  mostrare i suoi buoni voti all’arrivo...
«Sì, da un lato mi sono detto: se Mattarella, che non è l’ultimo degli stronzi, si è commosso per una mia vignetta, è segno che qualcosa so fare, non sono proprio un bluff. Dall’altro: ma come, c’è un ragazzo affogato in mare e fanno i complimenti a me per come l’ho disegnato? È come dare un premio al fotografo che ha scattato la migliore immagine della crocifissione di Gesù».  
Ma è vero che prima di fare il vignettista non ti interessavi di politica?
«Zero. Non me ne fregava niente. Ho cominciato a  occuparmene quando la politica si è avvicinata a me, è diventata più sguaiata. Vedo questi politici che tentano di presentarsi come persone qualunque e riconosco il tipo umano, l’amico del bar, uno dei miei mille parenti. Berlusconi, per esempio, è uguale a un mio zio traffichino».
Quindi, anche se hai vinto tre volte il premio della satira di Forte dei Marmi, tu non pensi di fare satira politica?
«È un equivoco che lascio correre finché non mi scoprono, ma la mia è satira umana, contro l’assurdo del personaggio, non ha dietro un programma, una militanza. La satira vera è quella sporca e cattiva, alla Charlie Hebdo. Che tra l’altro in Italia sarebbe chiuso subito, e non dagli estremisti islamici ma dal governo. Io non ho quel sacro fuoco».
Sarà perché vieni da una famiglia di destra?
«Mah, i miei erano come “bagnati” nella destra, “placcati”, ma dentro non c’era una vera consapevolezza politica. Un po’era tradizione familiare, un po’ l’istinto: occhio per occhio, a quello gli ci vorrebbe una scarica di botte... Il pensiero fascista è immediato, quello di sinistra è spesso controintuitivo: perché dovrei tollerare quello che non mi sta bene? Anche se poi tanti a sinistra sono più intolleranti dei fasci».
È per questo che hai lavorato un po’ con tutti, anche con Beppe Grillo per il suo ultimo spettacolo?  
«Ma guarda che i 5 Stelle non nascono mica di destra: i loro temi originari erano l’ambiente, l’acqua pubblica, non il sovranismo o la difesa dei confini. Poi però anche loro sono istintivi».
E lui, Grillo?
«È rimasto incastrato nel suo ruolo. Di persona non ti parla mai di politica: ti racconta di quando faceva 30 milioni di spettatori e viaggiava in Concorde. Poi la Rai l’ha cacciato e lui ha architettato la sua vendetta, circondandosi di altri incazzati. Che però non gli somigliano, non hanno il suo senso dell’umorismo. Me lo diceva: Marco, questi so’ pazzi. E io: hai milioni di adoratori che però non capiscono le tue battute. È come un girone dell’inferno costruito apposta per te».