Corriere della Sera, 13 novembre 2020
Mr Harris, un second gentleman a tempo pieno
Accanto ai tre primati di Kamala Harris, prima vicepresidente degli Stati Uniti donna, nera e americana di origine asiatica, il marito Douglas Emhoff ha scritto un piccolo record. L’avvocato 55enne di famiglia ebrea, sposato con Harris dal 2014, dal 20 gennaio sarà il primo «second gentleman» della storia Usa. E sarà protagonista di un’altra novità: al contrario della First Lady Jill Biden che vorrebbe continuare a insegnare, Emhoff lascerà il suo lavoro per sostenere la carriera della moglie, assumendo a sua volta un incarico – ancora da definire – nell’amministrazione.
Nella scia delle «second ladies» che lo hanno preceduto, probabilmente Emhoff si occuperà di promuovere in pubblico alcuni temi cari all’amministrazione. Oppure la Casa Bianca proverà a sfruttare la rete di contatti e competenze che si è costruito in una vita da avvocato di grido (specializzato in cause nel mondo dello spettacolo, dei media e dello sport) in California, dove si trasferì con i genitori quando aveva 17 anni. Proprio a Los Angeles nel 2013 conobbe Kamala, a un appuntamento al buio organizzato da un cliente di lui: si videro a cena, e il giorno dopo lui le mandò una mail in cui le comunicava le (poche) disponibilità per i due mesi successivi, che con gli impegni della procuratrice generale della California s’incastravano a malapena. Non poteva funzionare. Invece si diedero sei mesi di tempo, e funzionò.
Lui si propose in un ristorante thailandese. Si sposarono a Santa Barbara: prime nozze per Kamala, che come da tradizione indiana (la madre era immigrata dal Tamil Nadu) gli mise una corona di fiori intorno al collo; seconde per Douglas, che ruppe un bicchiere come da uso ebraico. Dal primo matrimonio con la produttrice cinematografica Kerstin Emhoff (chiuso nel 2009 in buoni rapporti), Douglas aveva avuto due figli, oggi più che ventenni: Ella e Cole, nomi ispirati a Coltrane e Fitzgerald, adorano la nuova moglie del padre e la chiamano notoriamente «Momala».
Un vecchio amico dei due, Alex Weingarten, ad agosto ha detto al New York Times che «Doug si è impegnato con Kamala, e con la carriera di Kamala». Già prima che Biden scegliesse Harris come sua vice, l’affabile Doug aveva preso un’aspettativa dallo studio di cui è partner dal 2017, Dla Piper, il terzo più grande degli Stati Uniti, che nel 2018 – secondo le dichiarazioni fiscali – lo pagò 1,34 milioni di dollari. Ora, ha fatto sapere un portavoce all’Ap, Emhoff ha deciso di mollare il lavoro e le quote nella società: entro il 20 gennaio, l’Inauguration day della coppia Biden-Harris, completerà la sua personale transizione.
Una scelta che piace a molti per l’inversione dei ruoli stereotipici, per cui di solito un uomo difficilmente è disposto ad abbandonare una brillante carriera per supportare quella della moglie: Doug porterà una ventata d’aria fresca.
Ma ci sono almeno altre due ragioni. La prima di opportunità: l’amministrazione non vuole potenziali conflitti di interessi con l’attività di Emhoff, il cui studio (anche se non attraverso di lui) ha difeso case farmaceutiche, aziende di armi, società di telecomunicazioni, ha una lunga attività di lobbying alle spalle e sedi da Mosca a Riad. Meglio evitare potenziali imbarazzi. La seconda, di prospettiva: se un giorno Harris volesse candidarsi alla presidenza, o dovesse diventarlo (speriamo di no) per un impedimento di Biden, il «second gentleman» diventerebbe «first». E per sognare una carriera da Michelle Obama al maschile ci vuole tempo, impegno e molta dedizione. E non è detto bastino.