la Repubblica, 13 novembre 2020
Grifo e i gol degli azzurri emigrati
Vincenzo e Roberto sono fratelli d’Italia ma quell’Italia è un’altra, e un po’ ce la siamo dimenticata. Perché è antica, è il paese dei padri di padri. L’Italia emigrante. Vincenzo Grifo è nato a Pforzheim, nella Foresta Nera, e ha segnato due gol in Nazionale senza avere giocato mai nemmeno un minuto nel paese dei suoi avi: primato imbattibile. Roberto Soriano è nato a Darmstadt, nell’Assia, e col pallone è cresciuto nel Bayern Monaco insieme a una specie di gemello sportivo, Nicola Sansone, a suo tempo azzurro lui pure. Erano gli anni di “Luca Toni/ pepperoni/seipermè/ bum/bum/numero uno”. Perché hai voglia a navigare il futuro, ma in Germania noi siamo sempre quelli dei maccheroni e dei “pepperoni”, pure quando ci ridiamo su.
Che strana questa globalizzazione al contrario che sa di terra e di lontano, come direbbe un avvocato di Asti così amato a Parigi, un po’ genio emigrante anche lui. Perché abbiamo “figli Erasmus” mondializzati e girovaghi (prima del Covid, almeno) e abbiamo italiani di seconda generazione, e magari abbiamo smesso di pensare a chi è cresciuto parlando il dialetto in casa (l’agrigentino e il leccese i Grifo, e l’irpino i Soriano) ma il tedesco a scuola e con gli amici. «Io porto sempre l’Italia nel cuore» ha detto Vincenzo dopo i due gol, e forse pensava a nonno Francesco che vide il suo debutto in un televisore della residenza Sacro Cuore di Gesù a Naro, Agrigento, e già aveva 95 anni. Naro, in siculo “Naru”, gemma barocca in provincia di Girgenti, Naro La Fulgentissima come la battezzò Federico II di Svevia.
E magari invece Roberto Soriano (cognome eduardiano: si chiama Domenico Soriano l’uomo che non riuscirà a farsi dire da Filumena Marturano chi dei tre giovanotti è figlio suo) avrà pensato a nonno Michele, a Sperone, Avellino, paese che dice tutto: roccia e strapiombo. O forse agli altri due nonni Elia e Gelsomina d’Avanzo che festeggiarono i 60 anni di matrimonio lì a Sperone, e Roberto tornò apposta.
Fratelli dell’altra Italia pettinati con la brillantina e la riga a sinistra (Vincenzo), oppure (Roberto) con baffi alla Gengis Khan che scendono verso una bocca imbronciata dalla grinta e dalla tigna. Bambini lontani che in Italia tornavano solo d’estate, e il primo autogrill era già casa. Sicuramente Toto Cutugno urlava in qualche mangiacassette e poi il tempo è volato. Vincenzo Grifo in Nazionale se l’inventò Mancini, e ancora in tanti si domandano “ma questo chi è?”. Non beve e quindi non va all’Oktoberfest. Tifa Inter e ha solo il passaporto italiano. Il suo girovagare racconta una carriera di piccola gloria raminga tra Hoffenheim, Dinamo Dresda, Francoforte, Borussia ‘Gladbach e Friburgo dove sta adesso, e dov’è tornato già nella notte dopo l’Estonia perché la carrozza può diventare zucca.
E qualcuno ricorderà ancora Daniel Caligiuri che visse una breve e intensa Nazionale ed era nato a Villingen- Schwenningen, uno dei 700 mila tedeschi-italiani nel mondo, solo in Argentina ci sono più paisà di così. Storie che il pallone ha legato insieme, col televisore acceso per vedere i gol della serie A e un po’ d’Italia nella pentola del sugo, saranno luoghi comuni ma sono luoghi profondi. Roberto Soriano in verità in Italia ha giocato tanto, ora è del Bologna ma è stato anche all’Empoli, alla Samp e al Toro, con uno scantonamento spagnolo al Villarreal, perché chi emigra una volta emigra sempre. Gli sarebbe piaciuto giocare nel Napoli, la squadra della sua terra così amata e complicata. Roberto la sostiene, come ha fatto con una donazione all’ospedale “Moscati” di Avellino e avrebbe preferito che non si sapesse. Da ragazzo si fece i muscoli scaricando casse di frutta e in campo mai nessuno gli ha regalato niente. Non è facile avere due patrie e forse nessuna, da una parte e dall’altra ti vedono un po’ come straniero, c’è sempre un altrove che preme, che chiama. “Questo luogo non è un luogo”, scrive Melania Mazzucco nell’incipit di Vita, la sua memorabile storia di due ragazzini in America, due tra i tanti che diedero discendenza a quell’Italia lontana dall’Italia eppure vicinissima, incastonata dalle parti del cuore. Come disse Resnais, «l’America non esiste, io lo so perché ci sono stato». Anche la Nazionale, forse, non esiste: Vincenzo e Roberto ci sono stati.