Corriere della Sera, 12 novembre 2020
Il caso della statua nuda della femminista
Si può celebrare una femminista mettendola nuda davanti a tutti? La domanda si pone, dopo che a Londra è stata inaugurata una statua che commemora Mary Wollstonecraft, considerata la «madre del femminismo», autrice a fine Settecento del primo trattato sui diritti delle donne (e morta a soli 38 anni dando alla luce la figlia, Mary Shelley, a sua volta diventata famosa come creatrice di Frankenstein).
Perché il monumento in questione è stato paragonato a una «Barbie svestita», o peggio a una «decorazione di Natale da sito porno»: e in effetti c’è da chiedersi perché un presunto inno alla liberazione delle donne debba avere i capezzoli dritti, gli addominali da atleta e il florido vello pubico esposto. «Si è mai vista una statua di Dickens con le palle di fuori?», ha commentato una delle indignate femministe inglesi.
La polemica è rimbalzata con clamore su tutti i giornali britannici e ha diviso gli animi. Eppure la statua è la creazione di una scultrice, Maggi Hambling, che sostiene di aver voluto rappresentare non tanto la Wollstonecraft storica quanto «ogni donna»: «Il punto è che deve essere nuda perché i vestititi definiscono le persone», ha argomentato l’artista. «Per quanto mi riguarda, ha più o meno la forma che tutte vorremmo avere».
Ma non è quello che avevano in mente quanti hanno donato soldi a una campagna che è andata avanti per dieci anni e che aveva l’obiettivo di restituire «la presenza di Mary in forma fisica». La presidente della società che ha guidato la raccolta di fondi per la statua, Bee Rowlatt, ha provato tuttavia a difendere la scelta, sostenendo che «promuoverà commenti e dibattiti: e questo è un bene, è ciò che Mary ha fatto per tutta la sua vita. La gente non ha mai sentito parlare di Mary Wollstonecraft e quando scopri di più su di lei, è in realtà davvero stupefacente».
Senza dubbio Mary fu una pioniera. Scrittrice e pensatrice radicale, andò in Francia per assistere di persona alla Rivoluzione: e nel 1792 pubblicò il trattato Rivendicazione dei diritti della donna, il primo pamphlet femminista in lingua inglese, in cui sosteneva di «non desiderare che le donne abbiano potere sugli uomini, ma su se stesse». E dunque, tra le altre cose, incoraggiava le donne a scansare le tradizionali aspettative ad essere belle e sottomesse: «Indottrinate fin dall’infanzia che la bellezza è lo scettro della donna, la mente si conforma al corpo, e girando attorno alla sua gabbia dorata, cerca solo di adornare la sua prigione».
Sembra quasi un commento alla sua statua: e non sono poche quelle che l’hanno presa così. «Finalmente un riconoscimento pubblico che le donne nel 18esimo secolo erano completamente nude ed estremamente piccole», ha commentato sarcastica Emily Cock, storica dell’Università di Cardiff.
Ironica la scrittrice di bestseller Jojo Moyes: «Sarebbe stato carino commemorare Mary Wollstonecraft con i vestiti addosso: non si vedono molte statue di politici maschi senza mutande». Sberleffo finale da un’altra storica, Una McIlvenna dell’Università di Melbourne, che ha condiviso sui social una foto di un modello maschio nudo con la dicitura: «Ecco una statua che ho appena fatto per onorare la memoria di John Lennon».