La Stampa, 12 novembre 2020
Si riscopre Maurice Genevoix, testimone della Grande Guerra
Morì a novant’anni nel 1980 Maurice Genevoix, scrittore della Francia profonda. E nell’immaginario collettivo era il romanziere dei boschi della Valle della Loira (di dove era originario e lì visse quasi tutta la sua vita), delle storie di cacciatori e bracconieri, della natura amata e contemplata, i paesaggi immaginati nei color pastello. Quando scomparve, Valéry Giscard d’Estaing, allora presidente, disse che se ne andava «uno dei nostri primi ecologisti». Genevaux era famoso anche per il suo francese forbito, in lotta perenne contro gli anglicismi. Già allora tutti o quasi avevano dimenticato il suo libro dal titolo Ceux de 14, «Quelli del ’14». Come lui, Genevoix, reduci della Grande Guerra.
È un altro presidente, Emmanuel Macron, a riscoprire quel testo, di una crudezza allucinante, cronaca del fango, del sangue e dell’angoscia della trincea, dove combatté Genevoix. La nonna di Macron glielo leggeva a voce alta quel libro, da piccolo. Da ieri la salma dello scrittore (ha lasciato 58 opere: non smise mai di scrivere, fino alla fine) riposa al Panthéon, necropoli laica dei grandi di Francia, nel cuore di Parigi. L’ha voluto Macron: «Sono tutti quelli del ’14 – ha detto - che vi entrano con lui». Solo uno stralcio, per capire il tono di Ceux de 14: «Questa guerra è ignobile. Per quattro giorni mi sono insozzato di terra, sangue e cervelli. Sulla faccia ho ricevuto un pacco di viscere e sulla mano una lingua, con il suo pezzo di gola annessa. Sono schifato».
Genevoix, allievo della prestigiosa Ecole normale supérieure a Parigi, in studi letterari, a 24 anni si trovò sbattuto su una trincea nell’Est, a partire dall’agosto 1914, all’inizio del conflitto. Partecipò alla battaglia della Marna e alla marcia su Verdun. Sempre in prima linea, il 25 aprile 1915, ricevette tre pallottole, due su un braccio e una su un fianco sinistro. A fatica venne salvato dai compagni, a braccia trasportato al riparo.
Seguirono sette mesi tra un ospedale e l’altro. Lui finirà invalido all’80%, ormai senza più l’uso della mano sinistra. Ma nel frattempo dall’orrore sboccerà la sua vocazione letteraria. Iniziò con qualche nota e dei disegni. E poi scrisse il suo diario di guerra. La prima parte (Sous Verdun) sarà pubblicata già nel 1916, ma la censura eliminerà una buona parte del testo. Genevoix non esita ad ammettere come in lui e negli altri soldati la rassegnazione prendesse il posto dell’eroismo. Racconta perfino i saccheggi delle case da parte dei soldati francesi, affamati e abbandonati a se stessi.
«Questo libro racchiude la realtà, anche quella più inascoltabile – sottolinea il nipote Julien Genevoix, che tanto ha lottato perché il nonno si ritrovasse al Panthéon -. Lui, però, non giudica mai». Anche i successivi tomi delle sue memorie di guerra saranno censurati, finché tutti i volumi verranno racchiusi in Ceux de 14, pubblicato da Flammarion nel 1947, finalmente integro. Dopo la decisione di Macron, pure il libro è stato riscoperto (circa 50mila copie vendute negli ultimi mesi). I francesi hanno capito lo slancio pacifista, sottintesto e neanche troppo, a quelle parole di dolore. E ormai consapevoli di avere un loro Erich Maria Remarque, lo scrittore tedesco che, con il magnifico Niente di nuovo sul fronte occidentale, raccontò l’orrore della stessa guerra. Ma dall’altra parte della trincea.