Il Messaggero, 12 novembre 2020
Intervista al fotografo Steve McCurry
«Ho trascorso più tempo in casa negli ultimi sei mesi che nei quarant’anni precedenti». La pandemia ha stravolto anche la quotidianità di Steve McCurry, statunitense, classe 1950, entrato nel pantheon dei fotografi contemporanei più rilevanti e famosi con scatti divenuti icone nella storia del Novecento. Abituato a girare il mondo per almeno otto mesi all’anno, da marzo è chiuso nel proprio archivio, preparando alcune raccolte. Nei pressi della propria abitazione ha concepito con la figlia la fotografia destinata al nuovo calendario Lavazza, dal titolo The New Humanity 2021.
Che cosa ha compreso sua figlia piccola della pandemia?
«Ha cominciato a prendere coscienza delle cose alle quali avrebbe dovuto rinunciare. Ha intuito che il problema riguarda tutti. Poi voleva rendersi utile alla comunità».
In che modo?
«Essere una dottoressa o un’infermiera».
È nato così lo scatto del calendario?
«Sì».Che cos’è un fotografo senza la strada?
«Ricerca l’intimità degli sguardi familiari e della vita in casa. Non nascondo la noia, ma mi sorprendo con momenti meravigliosi ed emozionanti: dipende tutto dalla pazienza nell’osservare e dalla prontezza».
È arrivata prima la passione per i viaggi o quella per la fotografia?
«Per i viaggi».
Qual era il suo sogno?
«Di diventare un regista, mentre ho scoperto le potenzialità della fotografia: è creativa, spontanea, un modo di raccontare le cose attraverso gli sguardi e i comportamenti umani».
Quando iniziò a viaggiare sul serio?
«Negli anni Settanta in Africa. A ventidue anni partii con una Instamatic».
Lei che ha fotografato per tutta la vita conserva la timidezza?
«Sì. Ci vuole coraggio per fermare qualcuno per strada e conquistarne la fiducia».
Qual è la paura di un fotografo?
«Il rifiuto. La frazione di tempo in cui la persona dall’altra parte dell’obiettivo si chiede chi sei e che cosa cerchi. Devi essere rapido e convincente nello scambio».
Che cosa accade quando una fotografia assurge a icona come la sua Ragazza afgana, che ritrae la giovane orfana Sharbat Gula?
«Ho imparato la gratitudine. La creatività apre una via di comunicazione e l’accoglienza del tuo lavoro è un miracolo. Non è una colpa che una foto piaccia a molti e non bisogna vergognarsi delle emozioni. La mia missione è rimasta la stessa: osservare, interpretare e scattare è il mio modo di stare sulla terra».
L’Afghanistan è senza pace. Che cosa ha significato scoprirci la guerra?
«Quel conflitto bellico mi ha lasciato un effetto indelebile. Crescendo in Pennsylvania, non contemplavo il desiderio di morire per qualcosa in cui si crede. Il dolore era travolgente».
La sofisticazione delle armi ha cambiato le regole d’ingaggio del fotografo?
«Il tempo della violenza non si esaurisce in qualsiasi forma di esplosione. La macchina fotografica esiste per le persone che restano colpite».
Negli ultimi anni c’è un’immagine che l’ha ferita?
«La separazione violenta delle famiglie migranti lungo la frontiera con il Messico. Abbiamo visto i bambini isolati e chiusi in gabbie trattati da criminali».
Che cosa ha lacerato gli Stati Uniti?
«La scomparsa della ragionevolezza e della compassione. Si è cercato di interrompere un processo di rielaborazione di eredità dolorose come il genocidio dei nativi americani e lo schiavismo, che sono le radici del razzismo».
La prima cura dopo le presidenziali?
«Restituire all’America un discorso pubblico civile. Viviamo lo sdoppiamento della realtà e rischiamo di non saper più rispondere alla domanda: che cosa è vero?».
Quest’ultima domanda riguarda anche la fotografia e i social network?
«Dipende da quanto ci facciamo prendere la mano con i telefoni cellulari. Abbiamo guadagnato l’accessibilità e la rapidità di circolazione, ma rischiamo l’ossessione dello scatto. L’avventura umana non è una carrellata di selfie. Le fotografie devono rimandare alla realtà. Poi ognuno esprime le proprie interpretazioni».
La stupisce ancora un ritratto fotografico?
«È sempre una questione di connessione umana e di cogliere ciò che è invisibile agli altri».