Corriere della Sera, 11 novembre 2020
1QQANFZ10 I restauratori dei libri inzuppati nell’acqua alta
1QQANFZ10
Un anno fa, il 12 novembre, Venezia inghiottì se stessa. L’acqua alta arrivò a un metro e 87 sul livello del medio mare, sommergendo persone e cose, inondando condotte e tubi. E si mangiò pure carta, tanta carta. Libri, documenti, manoscritti: il mondo guardava sgomento quel patrimonio inzuppato, sbiadito. Per fortuna, molto si è salvato.
A un anno dall’«acqua granda» che ha investito la città, una buona parte dei libri di Venezia sta tornando o è già tornata a casa. I volumi della biblioteca di Cesare De Michelis – il fondatore della Marsilio —, i delicati spartiti del Conservatorio «Benedetto Marcello», i manoscritti della Fondazione Querini Stampalia e della Fondazione Levi.
Lo scrittore Giovanni Montanaro ne ha fatto un romanzo dal titolo Il libraio di Venezia, che esce domani per Feltrinelli: è (anche) la storia di quella marea umana di volontari, professionisti, appassionati che da subito si misero al lavoro per salvare i libri. Il resto, è una vicenda di squisita professionalità italiana. Come, ad esempio, quella dei restauratori del gruppo «Frati e Livi», specializzati nella cura del libro, con sede a Bologna.
Pietro Livi, una vita dedicata a riparare le pagine, parte dall’inizio. «Sin dalla prima acqua alta ci furono centinaia di volontari, specie i giovani, che misero in salvo i volumi». Con una procedura: ciascun libro va messo subito dentro a un sacchetto, con un foglio protettivo che impedisca che si formi un «monolito inzuppato». La carta, spiega Livi, ha resistenza, ma se è bagnata diventa tra le cose più fragili.
Agire in fretta. Così, da subito, migliaia di buste vennero raccolte da piccole barche professionali e immediatamente inserite in grossi container refrigeratori (alcuni dei quali messi a disposizione dall’azienda bolognese) per congelarli. Sì, è così: il libro bagnato non va asciugato, né tantomeno con aria calda, ma va messo a meno 25 gradi. «Per impedire il processo di degrado microbiologico», spiega Livi, cioè le muffe, quelle sì letali per le pagine, specie quelle più delicate. E qui si innesta un’altra catena di solidarietà: anche aziende come Bofrost, quella che ci porta i surgelati a domicilio, hanno prestato i propri container. Si è mossa anche la Edam. Perché, appunto, bisognava fare in fretta. Dunque è successo che, nei giorni successivi all’«acqua granda», venticinquemila tra libri, riviste e giornali veneziani hanno raggiunto Bologna. Pronti per essere... liofilizzati.
Già, in quello scafandro giallo, una sorta di liofilizzatore, che Livi ha acquistato «anni fa, spendendo buona parte del bilancio annuale», con tutti che lo prendevano per pazzo. Invece no, perché un volume si salva prima congelandolo e poi passandolo in questo grosso sommergibile, dove l’acqua passa direttamente dallo stato solido a quello di «vapore, anche se freddo», spiega il restauratore. Poi c’è la parte finale, cioè la deumidificazione e la pressatura, che restituisce corpo ai libri. «Ora il loro aspetto è sano, ma è come se fosse più maturo, come una persona che ne ha passate tante», dice Marigusta Lazzari direttrice della Fondazione Querini Stampalia. E il Conservatorio «Benedetto Marcello» ha potuto rivedere alcune preziose partiture settecentesche.
Eurosia Zuccoli, a capo della Soprintendenza archivistica e bibliografica, guarda al futuro e pensa di tutelare la preziosa Biblioteca armena dell’isola di San Lazzaro. Pietro Livi conclude: «Questa volta i vertici delle istituzioni culturali sono stati rapidi nel prendere decisioni. E in questo caso erano tutte donne».