Dopo aver curato la nuova edizione delle Opere complete in cinque volumi (Galaxia Gutenberg) e scritto svariati ritratti tradotti in Europa e in America, a novant’anni il professor Loyola non s’arrende alla bufera. E in fondo continua a fare lo stesso lavoro di sempre, da quando l’amico Pablo invitò il giovane studioso nella sua casa di Isla Negra: «Mi chiese di liberarlo dagli scocciatori».
Professore Loyola, non è vero che Neruda abbandonò la figlia malata?
«Non fu un abbandono: lo scrittore cercò di trovare insieme alla madre la migliore soluzione possibile, anche se non ideale. Il romanzo olandese tace curiosamente sul suo dolore di padre, consegnato alla poesia Enfermedades en mi casa , Malattie nella mia casa, scritta dopo aver avuto la diagnosi dai medici. E il nome della bambina compare nell’ Ode a Federico García Lorca. Non è vero, dunque, che Malva Marina fu rinnegata ovunque, anche nelle poesie. La sua malattia fu come un muro eretto per sempre tra il poeta della parola e la figlia tanto desiderata. Un dolore acuto, da cui non si guarisce».
E fu questa la ragione del fallimento matrimoniale?
«No, il rapporto con Maruca era già incrinato da molto tempo. Per i primi sei anni, dal 1930 al 1936, Neruda era stato un marito serio e responsabile.
Dopo lo scoppio della guerra civile in Spagna, avendo giurato fedeltà alla Repubblica, ebbe difficoltà con il governo cileno filofranchista. Nel 1936 preferì trasferirsi con Maruca e la figlia di due anni a Marsiglia, dove avrebbe potuto contare sull’aiuto dei comunisti francesi. E alla fine dell’anno, in accordo con la moglie, condusse la famiglia a Montecarlo, mentre lui continuava a viaggiare».
Lei dice che fu un marito responsabile: ma nei primi mesi di vita di Malva Marina abitava con loro anche Delia del Carrill, allora amante di Neruda.
«Non fu un marito fedele, ma leale sì.
Oggi può sembrare di cattivo gusto, ma Delia contribuiva all’economia domestica. E si diede molto da fare per aiutare Maruca con la bambina».
Nel 1937 Maruca e la bambina vanno in Olanda. E da allora Neruda non vede più la figlia.
«Questo non lo possiamo dire. Tra il 1937 e il 1939, Pablo andò a L’Aia un paio di volte ed è singolare che Maruca non abbia favorito un incontro con Malva Marina. Voglio aggiungere alcuni fatti fondamentali, che smentiscono la ricostruzione della Peeters. La moglie aveva trovato un impiego grazie all’aiuto di Neruda. E, nonostante le difficoltà economiche, lo scrittore non le fece mai mancare il suo sostegno: abbiamo le testimonianze dei diplomatici che favorirono il passaggio di danaro. La decisione di affidare Malva Marina a una famiglia religiosa alla periferia di Gouda era stata presa da Maruca fin dal soggiorno a Montecarlo. Non era la soluzione perfetta, ma in questo modo la bambina poté vivere serenamente in campagna, circondata dall’affetto dei fratellini acquisiti».
C’è un altro elemento sconcertante. Dopo l’invasione nazista dell’Olanda Neruda non aiuta Maruca a tornare in Cile.
«Questa è la mancanza più grave. Ma qui intervengono le debolezze caratteriali di Neruda: Maruca era una donna incapace di autonomia e lui temeva di doversene fare carico».
Ma non c’è un elemento crudele in questa vicenda di Malva Marina? Il poeta degli oppressi che dimentica la figlia malata in un angolo di mondo…
«Io non voglio giustificare, ma cerco di capire cosa accadde nella sua testa. Non è vero che la bambina fu dimenticata. Alla sua nascita Pablo chiese all’amico pittore Miguel Prieto di illustrare una cartolina per Malva Marina. E il pesciolino disegnato da Prieto è il simbolo rimasto sempre presente nel logo di Neruda. Fu il suo modo per serbarne la memoria: non a parole, ma attraverso un segno grafico che ne accompagna l’opera.
Come se quell’atto certificasse e insieme risolvesse le sue mancanze di padre».
La storia di Malva Marina rischia di inasprire le critiche dei circoli femministi. Dopo che è uscita la notizia della violenza sessuale, hanno chiesto che non gli venisse intestato l’aeroporto di Santiago.
«Si trattò di un abuso intollerabile.
Neruda lo rivelò nelle sue memorie, senza che nessuno l’avesse costretto a farlo. È il suo omaggio postumo alla ragazza violata, a cui chiede scusa.
Così come il pesciolino è stato l’omaggio eterno alla figlia malata».
Professore, a me pare che il giudizio più corretto l’abbia dato Isabel Allende: resta un grande poeta, ma alcuni aspetti della sua vita sono ripugnanti.
«In Spagna il sindacato ha chiesto che le sue opere non vengano lette a scuola. Ma allora dovremmo bandire autori come Rimbaud, Céline, Sartre o Lope de Vega, colpevoli di azioni a volte sinistre e malvagie. Anche Vargas Llosa ha fatto notare che, con questi criteri, sarebbe incenerita quasi tutta la letteratura occidentale».
Lei ha scritto che i peccati degli altri non valgono. Contano solo quelli di Neruda. Perché?
«Non riesco a trovare una ragione, ma mi sembra il frutto d’una grande ingiustizia. È come se un’ondata moralistica avesse travolto le generazioni più giovani alle quali vorrei dire: Pablo era un uomo di un’onestà radicale. Ciò non significa che non abbia commesso azioni molto discutibili, ma aveva troppo rispetto di se stesso per essere indegno. Neruda non ha mai mentito, né da uomo né da poeta».